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martedì 13 marzo 2018

Darwin e l'innaturalità del bere latte

Darwin e l'innaturalità del bere latte



Sul web mi imbatto spesso in siti “militanti” contro il consumo di latte. Come questo. Le argomentazioni sono varie e disparate. A mio parere la più debole è “Nessun animale adulto beve latte, e neanche l’uomo dovrebbe farlo” a cui è facile rispondere che gli animali adulti non fanno tante altre cose che invece l’uomo fa. Tralasciando le argomentazioni salutistico-mediche, che esulano le mie competenze, vorrei riflettere invece sull’altra argomentazione chiave (copio e incollo da un altro opuscolo antilatte)
E perché mai dovremmo bere latte dopo lo svezzamento, e per di più quello di un’altra specie? Proprio perché il latte è fatto per i mammiferi appena nati, non è un alimento adatto a un adulto, e nemmeno a un bambino di qualche anno. Gli esseri umani sono gli unici animali che hanno un comportamento così innaturale, che va contro la loro stessa fisiologia. Non per niente, nel mondo tre quarti degli adulti sono intolleranti al lattosio, cioè sono privi dell’enzima (lattasi) necessario ad agire sullo zucchero che si trova nel latte (lattosio); questo impedisce loro di digerire adeguatamente il latte e conduce a malattie del sistema digerente più o meno serie.
"contro la loro stessa fisiologia"Addirittura! A prima vista l’argomentazione non è insensata: se la maggior parte delle persone non riesce a digerire il lattosio, lo zucchero presente nel latte, forse davvero non è un alimento adatto agli adulti. Che dire però di quella parte dell’umanità che il lattosio lo digerisce e trova piacere nel bere un cappuccino? Per loro lo è? E poi, come mai c’è questa differenza? L’argomento è molto interessante, e vale la pena di andare un po’ più a fondo.
Darwin in una tazza di latte
Se siete tra quelle persone che ogni mattina possono bere del latte a colazione senza alcun tipo di disturbo intestinale sappiate che state sperimentando direttamente una delle più spettacolari dimostrazioni della teoria di Darwin sulla selezione naturale. È noto almeno sin dal tempo dei romani che gli individui hanno capacità diverse di digerire il latte fresco. Lo zucchero principale contenuto del latte é il lattosio, un disaccaride. Per poter essere sfruttato come fonte di energia il lattosio deve essere scomposto nei due zuccheri semplici di cui è composto: il glucosio e il galattosio. Tutti i mammiferi neonati, compreso l’uomo, possiedono un enzima, la lattasi, che nel duodeno, nell’intestino tenue, svolge questo compito. Alla fine dello svezzamento, quando cambia la dieta, per la maggior parte delle persone la produzione dell’enzima cala e tra i cinque e i dieci anni cessa quasi del tutto (con un meccanismo e per quali ragioni evolutive non ancora ben compresi).
Quando queste persone bevono del latte, il lattosio non digerito passa nel colon dove incontra i batteri che lo metabolizzano e producono acidi grassi e vari gas, tra i quali l’idrogeno. Ed è proprio la produzione di idrogeno, che dall’intestino passa nel sangue e da lì nei polmoni, a essere sfruttata per il test non invasivo più accurato per verificare l’intolleranza al lattosio: il cosiddetto “breath test. In più, il lattosio richiama acqua nell’intestino per effetto osmotico generando quindi diarrea, crampi, flatulenza e altri spiacevoli sintomi associati alla cosiddetta  “intolleranza al lattosio”. Le persone che da adulte continuano a produrre l’enzima (si parla di persistenza della lattasi) possono invece continuare a bere il cappuccino tutte le mattine senza problemi.
Non necessariamente però chi non produce l’enzima manifesta problemi a consumare latte. È stato mostrato come un consumo giornaliero di lattosio possa a volte selezionare una flora batterica intestinale capace di rimuovere i prodotti della fermentazione e alleviare quindi i sintomi dell’intolleranza.
Chi la produce e chi no
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Figura 1: stima della frazione di popolazione che produce la lattasi da adulto.
Sino a circa 40 anni fa si pensava che tutti gli adulti producessero normalmente la lattasi e si parlava di deficienza della lattasi per chi non era in grado. Ora si sa che è esattamente il contrario e che i primi studi avevano generalizzato una situazione tipicamente europea: solo il 35% degli esseri umani adulti ha la capacità di metabolizzare il lattosio mentre il 65% ne é incapace. In Europa la persistenza della lattasi è la situazione comune con punte dell’89%-96% in Scandinavia e nelle isole Britanniche e percentuali via via più basse andando verso sud, toccando solo il 15% in Sardegna. È interessante anche notare come in quei paesi il consumo di latte fresco sia culturalmente visto come simbolo di un’alimentazione sana e nutriente.
Questa variazione geografica la troviamo anche in India: nel nord la percentuale di adulti che produce lattasi è del 63%, diminuendo fino al 23% spostandosi verso sud. Nella maggior parte del resto dell’Asia e tra le popolazioni native americane invece la persistenza della lattasi é molto rara. In Africa la distribuzione é a macchia di leopardo: tribù tradizionalmente dedite alla pastorizia mostrano alti livelli di persistenza dell’enzima mentre popolazioni contigue ma non pastorali hanno percentuali molto piú basse. In Rwanda ad esempio il 92% dei Tutsi produce l’enzima ma solo il 2% dei Bashi. Analoga situazione tra Beduini (76%) e non-Beduini (23%) che vivono nelle stesse zone.
Il latte come alimento per l’uomo
L’avvento del latte animale come alimento per l’uomo é stato reso possibile all’inizio del neolitico, circa 10.000 anni fa, con il passaggio dalla vita spesso nomade del nostro avo cacciatore-raccoglitore alla vita più stanziale basata sull’allevamento e l’agricoltura. In quel periodo pecore, capre e bovini vennero per la prima volta domesticati in Anatolia e nel vicino oriente per poi diffondersi nei millenni successivi nel medio oriente, in Grecia e nei Balcani e successivamente in tutta Europa. Attorno al 6400 BC capre, pecore e bovini, fonte di latte, erano ormai presenti nel sud e sud est d’Europa.
Studi archeologici confermano che in Anatolia 8000 anni fa il latte era sfruttato a scopo alimentare, come dimostra la presenza di grassi del latte nel pentolame. Circa 7000 anni fa era usato nei carpazi e pochi secoli dopo nelle isole Britanniche. È molto probabile che inizialmente il latte venisse solo trasformato per produrre yogurt e formaggi, fornendo in questo modo un mezzo di conservazione, facilitandone il trasporto e riducendo il contenuto di lattosio.
La mutazione
Grazie all’analisi del genoma ora sappiamo che la produzione della lattasi é regolata da un singolo gene sul cromosoma 2. I primi studi effettuati in Europa hanno dimostrato che negli individui “lattasi persistenti” è presente una mutazione genetica che dona la capacità di digerire il latte da adulti. I nostri antenati del Neolitico però non erano ancora in grado di farlo perché la mutazione è apparsa in tempi più recenti. Questo tratto geneticamente dominante é comparso e si è diffuso meno di 10.000 anni fa in alcune popolazioni dedite alla pastorizia solo dopo l’abitudine, culturalmente trasmessa, di nutrirsi con il latte munto. In Africa e in Medio Oriente sono state riscontrare mutazioni in zone diverse del DNA, dall’origine indipendente, ma dagli effetti analoghi: anche da adulti la lattasi continua a essere prodotta, ed è molto probabile che altre mutazioni simili verranno scoperte nelle varie popolazioni lattasi persistenti nel mondo, come l’India.
È bene ricordare che le mutazioni genetiche avvengono in modo completamente casuale, senza alcun tipo di “finalismo”. Non è stata la presenza del latte come alimento a “causare” la mutazione. Poiché oggi la persistenza della lattasi è diffusa in molte popolazioni, si può concludere che la mutazione genetica casuale, apparsa indipendentemente in popolazioni diverse, sia stata selezionata e diffusa in quelle dedite alla pastorizia in un periodo di tempo abbastanza breve. La mutazione ha donato un vantaggio evolutivo a chi la possedeva e ai loro discendenti rispetto a coloro che non la possedevano, e con il passare delle generazioni (“solo” 400) in alcune zone è diventata dominante, perché chi poteva bere latte aveva maggiori probabilità di sopravvivere e di fare più figli e quindi di trasmettere quella mutazione in misura maggiore rispetto a chi non la possedeva.
Quale sia stato esattamente il vantaggio evolutivo offerto è, però, ancora oggetto di dibattito. Alcuni pensano che nelle zone del Nord Europa, con una bassa esposizione solare, l’assunzione di latte fresco possa aver fornito una preziosa fonte di calcio e vitamina D, sostanza che nei paesi più a sud viene prodotta nella pelle per azione della luce solare o assimilata da una dieta ricca di pesce. La vitamina D regola l’assorbimento del calcio e quindi l’assunzione di latte fresco avrebbe potuto scongiurare l’insorgere di malattie come il rachitismo. In zone aride come l’Africa invece la spiegazione più probabile è che la possibilità di bere latte da adulti abbia fornito un indubbio vantaggio ai possessori della mutazione, fornendo l’accesso ad un liquido relativamente non contaminato e ricco di calorie e nutrienti, evitando diarree e le conseguenti disidratazioni che potevano essere anche fatali per coloro incapaci di digerire il latte. In ogni caso, la diffusione della mutazione è un fatto accertato.
Allora, bere latte è “innaturale” ?
Ora possiamo tornare alla domanda di partenza: bere latte da adulti è un comportamento “innaturale”? Alla luce di quanto abbiamo scoperto le argomentazioni riportate in quegli opuscoli, di cui è pieno il web, sono a mio parere, completamente prive di senso. Per più motivi.
Prima di tutto parlare di cosa è naturale o innaturale basandoci esclusivamente sul DNA è estremamente riduttivo. Come ricordavo prima ci sono popolazioni che non producono lattasi ma che per qualche motivo pare abbiano evoluto una microflora intestinale in grado di alleviare i disturbi, e quindi il latte è parte integrante della loro dieta giornaliera.
Ma è ancora più assurdo parlare di “innaturalità” del bere latte da adulti considerando che noi che possiamo berlo, perché produciamo la lattasi, siamo stati geneticamente “selezionati” proprio grazie ai vantaggi forniti da questa bevanda. Non c’è proprio nulla che vada contro la nostra “stessa fisiologia”. Se vogliamo è talmente “naturale” che, a differenza dei Cinesi, continuiamo a produrre l’enzima per digerirlo anche da adulti. E in Cina nessuno fa campagne contro l'uso del latte, perchè è perfettamente inutile.
Insomma, come detto tante altre volte, smettiamo di brandire i termini “naturale” e “innaturale” come fossero delle clave per chiudere i discorsi invece che approfondirli.
La persistenza della lattasi è probabilmente il miglior esempio di coevoluzione gene-cultura avvenuta nell’uomo in periodi relativamente recenti. La trasmissione, per via culturale, della tradizione di usare il latte come alimento ha creato una forte pressione selettiva che ha selezionato quelle mutazioni genetiche che rendevano possibile il consumo di latte fresco, cosa che a sua volta ha rafforzato la tradizione e la cultura dell’uso del latte.
Darwin sarebbe stato deliziato da queste scoperte e chissà, forse avrebbe brindato con un bicchiere di latte.
Bibliografia
Mappe della diffusione della persistenza della lattasi http://www.ucl.ac.uk/mace-lab/resources/glad
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