I disturbi associati a deficit di empatia
Laurea liv.I
Facoltà: Psicologia
Autore: Andrea Andrenelli
Composta da 35 pagine.
Questa tesi ha raggiunto 3425 click dal 09/07/2013.
Disponibile in PDF, la consultazione è esclusivamente in formato digitale.
Per approfondire questo argomento:
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Sul ruolo dell'empatia in clinica il rovescio della medaglia è costituito dai disturbi o patologie associate ad una diminuzione delle capacità empatiche dei pazienti. In realtà uno sguardo più attento ed esteso porta ad inquadrare meglio in che ambito si collocano questi fenomeni: l'empatia è un costrutto, come tale definibile e misurabile in modi diversi, i cui processi neurofisiologici sottostanti richiedono la collaborazione di varie aree cerebrali complesse e che, spesso, svolgono molte altre funzioni: da un punto di vista meramente biologico-evoluzionistico è ragionevole supporre che l'empatia abbia fornito un vantaggio agli individui delle specie di primati e ominidi che formavano comunità complesse.
Altrettanto ragionevole è supporre che la selezione abbia potuto agire su una estesa variabilità fenotipica di “espressione” dell'empatia, come spesso accade per numerosi fattori biologici ma, in ogni caso, è facile riscontrare un'ampia diversità interindividuale nelle misure dell'empatia. La predisposizione a essere contagiati dalle emozioni altrui, a riconoscerle, a mimarle e, naturalmente, a provarne di simili è molto variabile nella popolazione generale e questo fatto non può certo sorprendere; alla base stessa del concetto di “non normalità”, disturbo e patologia c'è proprio la considerazione che gli estremi di ogni distribuzione di una certa caratteristica, sia essa psicologica o biologica, in una data popolazione, sono spesso disfunzionali, per l'individuo che vi si colloca o per la sua relazione con gli altri individui, così diversi da lui.
Quindi essere troppo empatici o troppo poco è molto probabilmente disfunzionale, poco adattivo, nella stragrande maggioranza delle situazioni ma questa considerazione non riguarda solo la clinica: un adolescente troppo empatico dovrebbe essere orientato a percorsi di studio e professioni che non trattino la sofferenza umana o animale, altrimenti rischierebbe di rimanerne segnato. Sul versante psichiatrico i criminologi si chiedono quale ruolo abbia un tratto stabile di bassa capacità empatica nei criminali non affetti da patologie oltre che quelli effettivamente disturbati. Da molti decenni ormai la psichiatria e la criminologia studiano due categorie di disturbi estremamente complessi e difficili da trattare, con eziopatogenesi multifattoriale e in gran parte ignota, e che predispongono a condotte antisociali anche particolarmente gravi ed eclatanti: la psicopatia e le psicosi. Nei pazienti affetti da schizofrenia il deficit di empatia e di riconoscimento delle emozioni altrui è soltanto uno tra i tanti sintomi gravi di cui soffrono ma molto raramente sono un problema per la sicurezza sociale.
I pazienti antisociali o gli psicopatici sono caratterizzati da basso livello di empatia e simpatia (o addirittura assente) ma con buona capacità di riconoscere alcune emozioni altrui (specialmente la paura), mancanza di sensibilità verso i problemi degli altri, spregiudicatezza e scarsa importanza attribuita a norme e valori. Purtroppo sono molto refrattari ad ogni tipo di terapia e la loro intelligenza, nella norma o anche sopra la media, li rende difficili da individuare prima che abbiano compiuto danni a persone, famiglie e organizzazioni. Chi sperimenta quotidianamente quanto sia difficile e frustrante rapportarsi con persone (compresi bambini e adolescenti) con gravi deficit di empatia o di riconoscimento delle emozioni altrui, sono i genitori e i parenti delle persone autistiche e dei pazienti affetti da svariate patologie neurologiche non reversibili. Nella sindrome autistica, soprattutto nelle forme di medio-grave entità, sono presenti numerosi disturbi della comunicazione verbale e non verbale, della percezione e, spesso, alcune forme di ritardo cognitivo.
Il bambino autistico sembra refrattario alla comunicazione diretta, non riconosce molti tipi di emozioni o non vi risponde adeguatamente, sembra preferire il contatto e l'attività con oggetti piuttosto che persone e animali e, spesso, si chiude in un mutismo o un soliloquio inspiegabili agli occhi dei genitori e degli insegnanti. Nelle forme lievi della sindrome autistica i bambini e gli adolescenti hanno sufficienti abilità comunicative da poter essere inseriti in una normale classe scolastica, tuttavia le capacità empatiche sembrano ridotte ma non è chiaro in che misura sia dovuto ad una difficoltà a riconoscere in sé e negli altri le emozioni, a nominarle e a sostenerle, dentro di sé, abbastanza a lungo. Infatti in alcune terapie di gruppo, per adolescenti autistici non gravi, oggi sperimentate con discreto successo, i conduttori dei gruppi devono affrontare spesso delle improvvise, immotivate e quindi frustranti chiusure di comunicazione, da parte dei pazienti, proprio mentre essi sembrano intenzionati a comunicare il loro stato d'animo o a riconoscere quello dei compagni. Essendo la comunicazione umana, nel senso più generale del termine, così intrisa di scambi emozionali, con o senza partecipazione empatica, è naturale che il sintomo più difficile da accettare e accogliere, da parte dei parenti di pazienti autistici, sia sempre stato il deficit di empatia e di riconoscimento delle emozioni.
Da questo breve estratto è evidente un fattore , se ci guardiamo attorno, come si comportano le persone verso il prossimo, siano esse persone che animali e tutto ciò che è, la bellezza della vita non solo materiale, vediamo che la maggioranza delle persone sono disturbate, psicopatici, antisociali, sadici, indifferenti verso gli altri, crudeli, perché non si possono fare certe cose se non si è psicopatici con buona dose di sadismo e crudeltà d'animo.
E' evidente che coloro che fanno male agli animali in modo gratuito, per divertimento o per "lavoro" ,è predisposto a fare male al prossimo, perché indifferente all'altrui sofferenza, cambia poco che sia un uomo o un gatto, sempre di anime si tratta.
C.S. e R. - P.M.
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Sul ruolo dell'empatia in clinica il rovescio della medaglia è costituito dai disturbi o patologie associate ad una diminuzione delle capacità empatiche dei pazienti. In realtà uno sguardo più attento ed esteso porta ad inquadrare meglio in che ambito si collocano questi fenomeni: l'empatia è un costrutto, come tale definibile e misurabile in modi diversi, i cui processi neurofisiologici sottostanti richiedono la collaborazione di varie aree cerebrali complesse e che, spesso, svolgono molte altre funzioni: da un punto di vista meramente biologico-evoluzionistico è ragionevole supporre che l'empatia abbia fornito un vantaggio agli individui delle specie di primati e ominidi che formavano comunità complesse.
Altrettanto ragionevole è supporre che la selezione abbia potuto agire su una estesa variabilità fenotipica di “espressione” dell'empatia, come spesso accade per numerosi fattori biologici ma, in ogni caso, è facile riscontrare un'ampia diversità interindividuale nelle misure dell'empatia. La predisposizione a essere contagiati dalle emozioni altrui, a riconoscerle, a mimarle e, naturalmente, a provarne di simili è molto variabile nella popolazione generale e questo fatto non può certo sorprendere; alla base stessa del concetto di “non normalità”, disturbo e patologia c'è proprio la considerazione che gli estremi di ogni distribuzione di una certa caratteristica, sia essa psicologica o biologica, in una data popolazione, sono spesso disfunzionali, per l'individuo che vi si colloca o per la sua relazione con gli altri individui, così diversi da lui.
Quindi essere troppo empatici o troppo poco è molto probabilmente disfunzionale, poco adattivo, nella stragrande maggioranza delle situazioni ma questa considerazione non riguarda solo la clinica: un adolescente troppo empatico dovrebbe essere orientato a percorsi di studio e professioni che non trattino la sofferenza umana o animale, altrimenti rischierebbe di rimanerne segnato. Sul versante psichiatrico i criminologi si chiedono quale ruolo abbia un tratto stabile di bassa capacità empatica nei criminali non affetti da patologie oltre che quelli effettivamente disturbati. Da molti decenni ormai la psichiatria e la criminologia studiano due categorie di disturbi estremamente complessi e difficili da trattare, con eziopatogenesi multifattoriale e in gran parte ignota, e che predispongono a condotte antisociali anche particolarmente gravi ed eclatanti: la psicopatia e le psicosi. Nei pazienti affetti da schizofrenia il deficit di empatia e di riconoscimento delle emozioni altrui è soltanto uno tra i tanti sintomi gravi di cui soffrono ma molto raramente sono un problema per la sicurezza sociale.
I pazienti antisociali o gli psicopatici sono caratterizzati da basso livello di empatia e simpatia (o addirittura assente) ma con buona capacità di riconoscere alcune emozioni altrui (specialmente la paura), mancanza di sensibilità verso i problemi degli altri, spregiudicatezza e scarsa importanza attribuita a norme e valori. Purtroppo sono molto refrattari ad ogni tipo di terapia e la loro intelligenza, nella norma o anche sopra la media, li rende difficili da individuare prima che abbiano compiuto danni a persone, famiglie e organizzazioni. Chi sperimenta quotidianamente quanto sia difficile e frustrante rapportarsi con persone (compresi bambini e adolescenti) con gravi deficit di empatia o di riconoscimento delle emozioni altrui, sono i genitori e i parenti delle persone autistiche e dei pazienti affetti da svariate patologie neurologiche non reversibili. Nella sindrome autistica, soprattutto nelle forme di medio-grave entità, sono presenti numerosi disturbi della comunicazione verbale e non verbale, della percezione e, spesso, alcune forme di ritardo cognitivo.
Il bambino autistico sembra refrattario alla comunicazione diretta, non riconosce molti tipi di emozioni o non vi risponde adeguatamente, sembra preferire il contatto e l'attività con oggetti piuttosto che persone e animali e, spesso, si chiude in un mutismo o un soliloquio inspiegabili agli occhi dei genitori e degli insegnanti. Nelle forme lievi della sindrome autistica i bambini e gli adolescenti hanno sufficienti abilità comunicative da poter essere inseriti in una normale classe scolastica, tuttavia le capacità empatiche sembrano ridotte ma non è chiaro in che misura sia dovuto ad una difficoltà a riconoscere in sé e negli altri le emozioni, a nominarle e a sostenerle, dentro di sé, abbastanza a lungo. Infatti in alcune terapie di gruppo, per adolescenti autistici non gravi, oggi sperimentate con discreto successo, i conduttori dei gruppi devono affrontare spesso delle improvvise, immotivate e quindi frustranti chiusure di comunicazione, da parte dei pazienti, proprio mentre essi sembrano intenzionati a comunicare il loro stato d'animo o a riconoscere quello dei compagni. Essendo la comunicazione umana, nel senso più generale del termine, così intrisa di scambi emozionali, con o senza partecipazione empatica, è naturale che il sintomo più difficile da accettare e accogliere, da parte dei parenti di pazienti autistici, sia sempre stato il deficit di empatia e di riconoscimento delle emozioni.
Da questo breve estratto è evidente un fattore , se ci guardiamo attorno, come si comportano le persone verso il prossimo, siano esse persone che animali e tutto ciò che è, la bellezza della vita non solo materiale, vediamo che la maggioranza delle persone sono disturbate, psicopatici, antisociali, sadici, indifferenti verso gli altri, crudeli, perché non si possono fare certe cose se non si è psicopatici con buona dose di sadismo e crudeltà d'animo.
E' evidente che coloro che fanno male agli animali in modo gratuito, per divertimento o per "lavoro" ,è predisposto a fare male al prossimo, perché indifferente all'altrui sofferenza, cambia poco che sia un uomo o un gatto, sempre di anime si tratta.
C.S. e R. - P.M.
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