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venerdì 8 giugno 2018

Il crimine della sperimentazione animale condotto da medici falliti

L a S pe r im e n taz io n e An im ale i n O c c ide n te dalle O r igi n i a O ggi di Massimo Siri e Marina Berati, luglio 2002 Questo scritto è un estratto dei capitoli 2 e 3 del libro (disponibile solo in inglese): "Sacred Cows and Golden Geese" di Ray Greek e Jean Swingle Greek, Ed. Continuum, Londra-New York, 2000. L'uso degli animali nella ricerca medica umana sembra suggerito da una certa logica, che però si rivela piuttosto superficiale. Se da una parte, infatti, non sembra strano formulare delle congetture sulla base delle molte similitudini tra noi e gli altri mammiferi, dall'altra, le conclusioni scientifiche sono ben altra cosa. I dati disponibili in letteratura dimostrano oltre ogni ombra di dubbio che l'uso di animali per la ricerca medica umana costituisce un metodo anti scientifico e controproducente. Ripercorrendo dall'inizio la storia della sperimentazione animale, o vivisezione, vedremo che essa è fatta di ignoranza, egoismo, pregiudizio della Chiesa e tragiche conseguenze tanto per gli animali quanto per gli stessi esseri umani. L'Eredità di Galeno Il cammino dell'acquisizione della conoscenza medica iniziò con il piede giusto. Nel IV secolo A.C. Ippocrate fu il padre della ricerca clinica. Ancora oggi l'osservazione clinica fornisce le informazioni mediche più accurate e utili. Il medico più famoso dell'antichità, dopo Ippocrate, fu Galeno Claudio di Pegamo (129-200 D.C.), medico dei gladiatori e del figlio di Marco Aurelio. Galeno iniziò con lo studio del corpo umano, ma la Chiesa non permise più le autopsie umane, ritenendole altamente immorali. Non potendo più dissezionare cadaveri umani, Galeno ricorse agli animali, diventando così il padre della vivisezione. Galeno combinò i dati fisiologici animali con quelli umani, e scrisse più di cinquecento trattati di medicina che lo resero famoso. Ma le sue conclusioni erano ampiamente errate e imprecise in parte a causa della sperimentazione animale, e in parte a causa di sue errate interpretazioni. Tutta la teoria di Galeno si basava sull'assunto che la salute e la malattia dipendevano dallo stato di quattro umori: il sangue, il muco, la bile gialla e quella nera. Galeno riteneva che il sangue venisse prodotto dal fegato, e sebbene ne riconoscesse la circolazione, era convinto che le vene e le arterie non fossero tra loro collegate e che il sangue fluisse da un atrio all'altro del cuore attraverso micropori invisibili presenti nel cuore stesso. Inoltre Galeno attribuiva il cancro ad una infiammazione prodotta da un'invasione degli umori. Gli studi successivi, eseguiti su cadaveri umani, avrebbero in seguito eliminato molti di questi errori. Gli errori di Galeno, uniti alle proibizioni della Chiesa, soffocarono lo sviluppo della medicina fino al XVI secolo. Il Grande Risveglio - la Scienza del Rinascimento Nel XIII secolo l'anatomista Mondino dei Liuzzi (1270-1326) pubblicò "Anathomia" (1316), il primo vero trattato di anatomia umana. Ma non bastava ancora per sbarazzarsi dell'eredità di Galeno; la resistenza opposta al cambiamento dei metodi scientifici era ancora molto forte. Paracelso (1493-1541), scienziato e docente all'Università di Basilea, fu licenziato per aver bruciato in pubblico il lavoro di Galeno. Anche le scoperte di Leonardo da Vinci (1452-1519) sulle arterie e le valvole arteriose non ricevettero in quegli anni la dovuta attenzione. Finalmente l'impeto di Andrea Vesalio (1514-64), anatomista e medico fiammingo, spazzò via il pensiero medioevale. Egli riprese a dissezionare i corpi umani e fondò l'anatomia descrittiva dell'uomo in "De Humani Corporis Fabrica" (1543). Mentre le pubblicazioni precedenti erano speculazioni basate sulla dissezione animale, il testo di Vesalio, come quello di Liuzzi, si basava sull'anatomia umana. Le scoperte di Vesalio, pubblicate nello stesso anno in cui Copernico pubblicò quelle in campo astronomico, minarono le fondamenta stesse della civiltà, quelle della Chiesa, e diedero inizio alla rivoluzione scientifica. La Chiesa accusò Vesalio perfino di eresia, un crimine capitale, per aver provato che l'uomo e la donna hanno lo stesso numero di costole! Superate le resistenze opposte dalla Chiesa, finalmente l'acquisizione della conoscenza medica accelerò, e da Vesalio in poi, la dissezione umana tornò ad essere praticata per tutto il Rinascimento nelle scuole mediche più prestigiose d'Europa, a partire da quelle italiane, come Bologna e Padova. William Harvey (1578-1657) medico, anatomista e fisiologo inglese, studente dell'Università di Padova, dimostrò con le autospie che il sangue circola dall'atrio destro del cuore a quello sinistro attraverso le arterie e le vene, sovvertendo così la teoria di Galeno basata sui micropori invisibili nel cuore. Docente di Harvey, all'Università di Padova, fu Girolamo Fabrizio di Acquapendente (1533-1619). Egli scoprì, attraverso le autopsie, che le valvole del cuore impediscono al sangue di rifluire nella vene. Fabrizio fu anche il primo a sostenere che il sangue passa dal cuore alle arterie e ritorna al cuore attraverso le vene. Sempre grazie alle autopsie si scoprì che il sangue passa attraverso i polmoni per caricarsi di ossigeno. Tutto questo dimostra che era, ed è, possibile spiegare la circolazione del sangue senza utilizzare animali. Nella stessa epoca, il medico e anatomista Giambattista Morgagni (1682-1771) fece moltissime scoperte in campo anatomico e contribuì a diffondere l'autopsia come metodo ideale per correlare le anormalità fisiche alle malattie. Le autospie umane rivelarono la maggior parte delle conoscenze sul corpo umano che oggi consideriamo scontate, ma che a quel tempo non lo erano affatto. Subito dopo Morgagni, un anatomista francese, Marie François Xavier Bichat (1771-1802) postulò che il cancro è dovuto a una sovvracrescita dei tessuti e non a un'infiammazione causata dalla invasione degli umori, come sosteneva Galeno. Grazie alla dissezione umana si classificarono numerosi tipi di lesioni, si scoprirono migliaia di malattie e le loro correlazioni con le anormalità fisiche, e si fecero numerose scoperte nel campo della medicina e della chirugia. La scienza medica sembrava finalmente uscire dall'epoca buia in cui l'aveva gettata Galeno, ma, tragicamente, la storia ripetè se stessa e i suoi errori. La ricerca medica umana attraverso la vivisezione A metà del XIX secolo un francese, Claude Bernard (1813-78), ripropose la sperimentazione animale. Bernard non fu uno studente modello, si rivolse alla scuola medica solo dopo aver fallito come commediografo. Alla fine riuscì ad ottenere un incarico come fisiologo in un laboratorio. Bernard riuscì a persuadere la comunità scientifica della "validità" della sperimentazione animale e del fatto che una malattia che non fosse riproducibile negli animali non poteva esistere nell'uomo, anche a dispetto dei dati clinici raccolti sull'uomo che dimostrassero il contrario. La comunità scientifica considerò i metodi di Bernard preferibili all'osservazione sull'uomo, in quanto molto più convenienti data l'abbondanza di animali a disposizione. Visti i precedenti di Bernard, gli scienziati capirono anche che la sperimentazione animale avrebbe fornito loro sia denaro che reputazione. Chi mancava di talento in ambito clinico poteva sempre fare carriera in laboratorio. Nel 1865 Bernard pubblicò il libro "Introduzione allo Studio della Medicina Sperimentale". In esso descriveva il laboratorio come il "santuario della scienza medica" e profetizzava che grazie alla sperimentazione animale si sarebbero potute guarire molte più persone di quanto non si potesse fare con l'osservazione clinica. Inoltre sosteneva che gli effetti dei medicinali e delle sostanze tossiche erano gli stessi sia sull'uomo che sugli animali, a parte una differenza nel grado, mentre oggi sappiamo che non è affatto così. Nel 1875, uno degli studenti di Bernard, il Dr. George Hoggan, fondò la prima società antivivisezionista inglese, la Victorian Street Society. Hoggan scrisse che dopo quattro anni di esperimenti sugli animali era giunto alla conclusione che nessuno di quegli esperimenti era giustificabile o necessario. Tuttavia la sperimentazione animale guadagnava sempre più terreno e nessun studente o medico osava metterla in discussione per paura di ritorsioni o di perdere il posto. Nel 1859 Charles Robert Darwin (1809-92), naturalista inglese, pubblicò "Sulla origine delle Specie", abbozzo della teoria evoluzionistica che lo rese famoso in tutto il mondo. Secondo il darwinismo la specie umana non costituisce la meta verso cui tutte le altre specie tendono in una lunga e lenta evoluzione. Tutte le altre specie sono ugualmente all'apice dell'evoluzione, quindi il fatto che gli animali non sono le "brutte copie" degli umani, non li rende affatto adatti allo studio della medicina per gli umani. Bernard, da parte sua, rifiutò completamente la teoria evoluzionista. L'errore metodologico persevera Nel XIX secolo il chimico e biologo francese Luis Pasteur (1822-95) diede tre importanti contributi alla scienza medica senza ricorrere all'uso di animali: la sterilizzazione, la pastorizzazione e la teoria dei germi della malattia. Grazie all'osservazione postulò che le malattie si trasmettono da una persona all'altra per contatto attraverso dei microrganismi. Pasteur cercò poi un vaccino contro la rabbia sperimentando su cani. Sugli esseri umani, però, il vaccino non funzionava e poteva perfino essere mortale. L'unico successo che Pasteur ottenne con la sperimentazione animale fu a beneficio degli animali stessi. Pasteur studiò l'antrace negli ungulati e il colera nei polli e trovò i vaccini per prevenirli. Contemporaneo di Pasteur era il batteriologo tedesco Robert Koch (1834-1911). Koch formulò sei postulati per stabilire se un certo agente patogeno poteva essere considerato la causa di una certa malattia. Uno dei postulati stabiliva che il microrganismo doveva indurre la medesima malattia quando inoculato negli animali. Koch venne però smentito dai suoi stessi esperimenti. Usando tessuti umani infetti dal colera, osservò che i topi bianchi non contraevano la malattia. Sperimentando su altri animali, non riuscì mai a riprodurre qualcosa di simile al processo del colera conosciuto nell'uomo. Messi da parte i topi e grazie al microscopio, Koch scoprì l'agente patogeno del colera. A quel punto fu sua opinione che se anche un giorno si fosse riusciti a ricreare negli animali qualcosa di simile al colera, ciò non avrebbe aggiunto nulla di nuovo alle conoscenze acquisiste sull'uomo. Koch utilizzò di nuovo gli animali nel tentativo di sviluppare un vaccino contro la tubercolosi, e di nuovo gli effetti del vaccino si dimostrarono disastrosi per l'uomo. Koch ritrattò così i postulati che coinvolgevano gli animali. La sua esperienza dimostrò che quando un agente patogeno di una certa malattia è inoculato negli animali, la risposta dipende dalla specie. Non molto prima di morire Koch scrisse: un esperimento su un animale non dà alcuna indicazione sul risultato dello stesso esperimento su un essere umano. Nonostante il tempo smentisse poi i presunti successi in nome della sperimentazione animale, essa continuò a diffondersi in tutte le branche della medicina. Non solo, ogni scoperta ottenuta con l'osservazione clinica e le autopsie non era considerata valida se non si riusciva a riprodurla negli animali da laboratorio, contro ogni evidenza ottenuta sull'uomo stesso! Alcuni esempi. La malattia di Addison, dal nome del suo scopritore, il medico inglese Thomas Addison (1793-1860), si manifesta quando le ghiandole surrenali non sono più in grado di produrre certi tipi di ormoni. La sua scoperta fu ignorata per trent'anni, solo perché i ricercatori non riuscivano a riprodurre gli stessi sintomi della malattia negli animali da laboratorio a cui erano state asportate tali ghiandole. Nel 1895, in un'operazione chirurgica su una donna, il Dr. Robert T. Morris mostrò il funzionamento delle ovaie. Ma il merito andò nel 1896 al ricercatore tedesco Emil Knauer per aver riprodotto la procedura sui conigli. Nel 1833, il fisiologo e chirurgo militare americano William Beaumont, potè studiare il processo digestivo attraverso una grossa apertura nell'addome di un paziente, Alexis St. Martin, ferito da un colpo di arma da fuoco. Claude Bernard si affrettò a "validare" questo lavoro sugli animali. Beaumont morì nel 1853. Nel 1904 il fisiologo russo Ivan Pavlos ricevette il Premio Nobel dopo aver pubblicato i suoi studi sui meccanismi digestivi, studi compiuti sugli animali, quando Beaumont, decenni prima, aveva già documentato le stesse cose direttamente da osservazioni su casi umani. Una finestra sul microcosmo L'avvento del microscopio fu decisivo e fece compiere alla medicina un balzo in avanti nella comprensione dei sistemi viventi. Il primo microscopio fu inventato dal bolognese Marcello Malpighi nel 1650. Già nel 1665, lo scienziato inglese Robert Hooke descrisse nella sua "Micrographia" le proprie osservazioni al microscopio di strutture biologiche. Poco tempo dopo, lo scienziato olandese Anton Van Leeuwenhoek, descrisse batteri e spermatozoi, senza usare animali. Il microscopio moderno fu costruito nel 1828 da Joseph Lister. Esso portò all'accettazione della teoria delle cellule, secondo cui ogni organismo può essere compreso attraverso lo studio delle sue cellule. Questa rivelazione è di fondamentale importanza per la medicina e a favore delle argomentazioni contro la sperimentazione animale. Secondo il patologo tedesco Rudolf Virchow (1821-1902), tutte le cellule derivano da cellule preesistenti. Nella sua descrizione della leucemia, diventa chiaro che le malattie avvengono e si diffondono a livello cellulare, e le cellule malate derivano da cellule che prima erano sane. Virchow concluse che solo studiando i tessuti al microscopio si può comprendere la nostra natura. Grazie al microscopio gli scienziati constatarono con il tempo molte differenze tra le cellule umane e quelle di altre specie, e perfino tra le cellule di individui di razza diversa nell'ambito della stessa specie. Fu presto chiaro che, anche se tutte le cellule, vegetali e animali, presentano caratteristiche comuni, le cellule delle varie specie sono differenti e reagiscono in modo diverso alle malattie e alle terapie. Tuttavia la gente continua a credere che si dovrebbero usare gli animali come modelli, specialmente i primati, poiché la loro struttura genetica approssima di molto la nostra. Il nostro DNA è uguale a quello delle grandi scimmie per il 97-99%. Sebbene questa approssimazione sia più che buona, non tiene in alcun conto le differenze a livello di sequenze di coppie-base del DNA, che contengono le informazioni per la formazione degli amminoacidi, e di cui sappiamo ancora poco. Pertanto l'argomento DNA a favore della sperimentazione animale è molto ingannevole. Nel corso della storia si è osservato il ripetersi dello stesso schema: ogni nuovo sviluppo porta a metodi migliori per compiere osservazioni più dettagliate. Le similitudini tra umani e animali si dissolvono e diventano meno significative, mentre le differenze si accentuano e diventano più importanti. Sono queste differenze che rendono i risultati della sperimentazione animale inapplicabili agli esseri umani. Legalizzazione della vivisezione Agli inizi del '900 i tempi erano maturi perché la sperimentazione animale venisse accettata dalla comunità scientifica per il test di nuovi farmaci. Fu sufficiente un singolo avvenimento che si verificò nel 1937 negli Stati Uniti. Un nuovo antibiotico disciolto in una sostanza chimica, il diethilene glycol, provocò la morte di 107 persone. Gli scienziati somministrarono il farmaco ad alcuni animali, e anche questi morirono. Ma questa fu una coincidenza, che non provava affatto che tutte le specie animali reagiscono allo stesso modo a tutte le sostanze chimiche. Nel 1938 il Congresso americano approvò una legge che impegnava le case farmaceutiche a provare la sicurezza dei propri prodotti. Ciò significava testare prima i prodotti sugli animali. La responsabilià dei controlli della corretta applicazione di questa normativa fu affidato alla Food and Drug Administration (FDA), una divisione del Dipartimento della Salute e Servizi Umani degli Stati Uniti. La Seconda Guerra Mondiale incentivò lo sviluppo del settore farmaceutico a causa dell'enorme richiesta di antibiotici e vaccini. Per massimizzare i profitti le case farmaceutiche brevettarono i propri prodotti e si assicurarono il favore dei medici offrendo loro vasti campioni gratuiti, borse in pelle e perfino viaggi premio. Nel 1951 fu resa obbligatoria la prescrizione per la maggior parte dei farmaci. Ciò servì a rafforzare la collaborazione tra i medici e le case farmaceutiche, ad accrescere la fiducia dei pazienti nella medicina, e ad aumentare i profitti. Gli anni del Talidomine Le cure miracolose pubblicizzate dalle case farmaceutiche non tardarono a manifestare gravi effetti collaterali. Il più noto e grave fu quello del Talidomide, un tranquillante per le gestanti che si dimostrò teratogeno. Teratogena è una sostanza che altera il corredo genetico con il risultato di alterare il normale sviluppo dell'embrione e causare deformazioni nel nascituro. Widikund Lenz, un pediatra tedesco, fu il primo a suggerire una correlazione tra il talidomide e la teratogenesi. Le gestanti che avevano assunto il talidomide diedero alla luce bambini focomelici, cioè privi di arti sviluppati. Il primo caso registrato di focomelia causata dal talidomide risale al 25 dicembre 1956, ma nel 1957 il farmaco fu comunque messo trionfalmente in commercio. Seguirono altri casi di nati focomelici a cui seguirono nuove sperimentazioni sugli animali. Gli scienziati cercavano negli animali la prova di ciò che già era noto nell'uomo. Nessuno degli animali da laboratorio trattati con il talidomide produsse feti focomelici e ciò ritardò il suo ritiro dal mercato. Soltanto dopo la catastrofe, con dosi massicce di talidomide provate in innumerevoli specie di animali, si ottennero alcuni nati focomelici in una delle (circa) 150 razze di coniglio, il coniglio bianco neozelandese, a dosi comprese tra le 25 e le 300 volte superiori a quella normale per l'uomo. Inoltre, si ottennero malformazioni in certe specie di scimmia a dosi dieci volte superiori a quella normale. L'assunzione del Dr. Lenz, basata su un riscontro epidemiologico con centinaia di casi focomelici, fu ignorata per cinque anni. Il farmaco fu ritirato nel 1962 quando ormai erano nati oltre 10.000 bambini focomelici. Gli studi sugli animali giocarono un ruolo attivo nell'ampliare questa tragedia. La ricerca su tessuti umani in vitro avrebbe evitato tutto questo. Il talidomide ha impartito un insegnamento: è assolutamente inutile saggiare la teratogenicità di una sostanza negli animali. Il Decreto fatale Il disastro del talidomide fece sì che i Senatori Estes Kefauver e Hubert Humphrey avviassero una revisione dell'FDA e del precedente atto che regolava la commercializzazione dei farmaci. L'atto legislativo Kefauver-Harris richiedeva ora alle case farmaceutiche di produrre non solo prove sulla sicurezza dei loro farmaci, ma anche sulla loro efficacia. Purtroppo, richiedeva anche che i vari test venissero compiuti su varie specie animali, permettendo così alle cause farmaceutiche, di continuare su questa strada errata. Già negli anni '60 molti scienziati erano comunque consci dei limiti del modello animale. Persino il prestigioso giornale di Medicina The Lancet ammise che anche i test più accurati sugli effetti di un nuovo farmaco sugli animali sono poco informativi riguardo i suoi effetti sull'uomo. In uno studio di allora, gli scienziati confrontarono gli effetti collaterali noti di sei farmaci in topi, cani e umani. Gli effetti collaterali come il mal di testa, che sono difficili da identificare negli animali, non furono considerati. Dei 78 effetti collaterali avversi osservati nell'uomo, solo il 36 o 46 percento di questi erano presenti negli animali. La sperimentazione animale continuò e persiste ancora oggi, poiché essa rappresenta un rifugio legale dietro cui le case farmaceutiche possono difendersi. Test di tossicità Il fatto che i test sugli animali siano obbligatori, permette di dire, a chi vuole che essi continuino, che gli studi sugli animali hanno giocato un ruolo in ogni scoperta degli ultimi decenni. In realtà le cose stanno diversamente: è vero che gli animali figurano nelle scoperte, ma solo perché gli animali da laboratorio sono ovunque; le scoperte certamente non facevano affidamento su di essi. Da quando divenne obbligatorio per legge fornire i dati sulla tossicità di tutte le sostanze chimiche e farmaceutiche prima della loro immissione sul mercato, venne usato come standard un test chiamato "LD50". LD50 sta per Lethal Dose Fifty Percent. Dosi crescenti di sostanza chimica o farmaco sono somministrate agli animali, di solito cani e ratti, fino a quando il 50 percento dei soggetti non muore. Quel dosaggio è designato LD50. Di tutti i test di tossicità, l'LD50 è il più assurdo, perché i ratti, i cani e gli esseri umani, non possono reagire allo stesso modo alle sostanze chimiche e farmaceutiche. Nel corso degli ultimi quarant'anni, molti dei farmaci che furono testati e approvati con il test LD50, ebbero sull'uomo effetti drasticamente diversi. Nel 1987, in un'udienza congressuale sull'argomento, eminenti tossicologi affermarono che l'LD50 non è una costante biologica. Nonostante questo, l'LD50 continua a essere usato, anche se recentemente il modo di procedere è stato revisionato in modo da richiedere un numero minore di animali (senza cambiarne, però, la sostanza). Questo genere di test offrono alle grandi società la possibilità di difendersi in caso di danni alla salute causati dai loro prodotti, potendo sostenere di aver eseguito i dovuti esperimenti sugli animali. Inoltre, scegliendo opportunamente la specie animale, si potrà dimostrare un risultato o il suo contrario a seconda di quanto fa comodo al committente. L a t r u f fa de i te s t s u a n im ali : la prov a de f i n i t iv a Dr. Massimo Tettamanti Gli animali più usati per scopi sperimentali sono sicuramente i roditori: topi, ratti e cavie [1-6]. Sono piccoli, facilmente gestibili, costano poco e la loro durata di vita di due-tre anni è sufficientemente breve da permettere rapidi studi di cancerogenesi [7]. Esistono differenze microscopiche dei processi metabolici e anche differenze macroscopiche fra uomini e animali. Alcune delle differenze macroscopiche più famose sono: a differenza dell'uomo, i roditori non sono in grado di vomitare le tossine [8]; l'uomo può accumulare agenti nocivi dal naso e dalla bocca mentre i roditori respirano solo dal naso [8]; ratti, topi e criceti sintetizzano la Vitamina C all'interno del loro corpo ottenendo così naturalmente un potente agente anticancerogeno mentre l'uomo non è in grado di farlo [7]; i ratti hanno una elevata capacità enzimatica di non accumulare massa grassa (che in loro si accumula nel fegato) a differenza dell'uomo nel quale si accumula nelle arterie, diventando una potenziale causa di patologie [7]; i ratti vivono solo 2-3 anni; un'altra differenza è che i ratti femmina hanno una salute migliore se possono continuamente restare gravide [8]; inoltre è diverso l'assorbimento del ferro nelle diverse specie [9]. Citando alcune delle sostanze chimiche più famose, il benzolo e l'arsenico, cancerogeni per l'uomo, non lo sono per i roditori che vengono normalmente utilizzati per questo tipo di test [7]. Allo stesso modo, la naftilamina, cancerogena per la vescica urinaria umana, non provoca nessun tipo di cancro nel topo [7]. Una ricerca, partita dall'Università di Manitoba, a Winnipeg [10] ha messo in evidenza che molti antistaminici e alcuni antidepressivi (fluoxetina, amitriptilina, ecc...) provocano il cancro ai topi. Le aziende produttrici hanno replicato che i loro laboratori possono dimostrare l'innocuità delle sostanze incriminate. Quindi, in alcuni laboratori, gli studi su animali hanno dimostrato la pericolosità di molte sostanze; in altri laboratori, gli studi su animali hanno dimostrato l'innocuità delle stesse sostanze. Ciascuno può ottenere il risultato che preferisce, che più fa comodo. Ad esempio, nel 1992, dopo essere stata denunciata, l'Agenzia di Protezione dell'Ambiente Statunitense (EPA) usò i test su animali per difendersi e garantire la sicurezza di pesticidi in prodotti alimentari [8]. L'anno successivo, cambiata evidentemente la linea politica, l'EPA produsse una lista di pesticidi, tra i quali quelli per cui era stata denunciata, che avrebbero dovuto essere ritirati dal mercato in quanto cancerogeni per gli animali da laboratorio [11-12]. L'unica spiegazione a questa palese contraddizione è la possibilità dell'EPA di disporre di vari dati su animali, contraddittori fra di loro, e la decisione di scegliere, in funzione della situazione, i dati più utili. Questo esempio, come molti altri, testimonia il vero e reale motivo per cui si continuano a utilizzare gli esperimenti su animali: la possibilità di dimostrare qualsiasi ipotesi. Se si vuol dimostrare che una sostanza è innocua, è possibile farlo usando gli animali. Se si vuol dimostrare che la stessa sostanza è tossica, è possibile farlo usando altri animali o altre condizioni di esperimento. Non è solo la scelta della specie animale infatti che permette di ottenere il risultato voluto: la sperimentazione su animali è una pratica talmente poco controllabile che, anche utilizzando esclusivamente i ratti, gli animali più usati in assoluto, è possibile modificare leggermente le condizioni sperimentali e ottenere risultati completamente variabili. Nel 1981, sempre il prof. Zbinden pubblicò un articolo [13], diventato subito famosissimo, in cui criticava pesantemente questa metodologia, dimostrando che i risultati che si ottengono dagli animali dipendono, oltre che dalla specie animale utilizzata, anche dalle condizioni in cui viene effettuato l'esperimento: dal ceppo, dal sesso, dall'età, dalle condizioni di stabulazione, dall'alimentazione, dal rumore, dallo stress dell'animale, ecc. I roditori sono animali naturalmente notturni e tendono a cibarsi durante la notte: basterebbe questo fatto per invalidare la sperimentazione su animali. Gli animali nei laboratori, per ovvi motivi, vengono costretti a cibarsi di giorno e a vivere in gabbie senza posti dove nascondersi dalla luce; tutto questo li costringe ad adattarsi a situazioni innaturali capaci, già da sole, di alterare profondamente il loro metabolismo. La prova definitiva della truffa vivisettoria è la seguente: mentre i tossicologi continuano a sostenere che roditori e uomini sono così simili da permettere l'utilizzo di questi animali per testare le sostanze chimiche che verranno a contatto con l'uomo, i produttori di rodenticidi assicurano che i roditori sono così diversi dall'uomo (e dai suoi animali d'affezione) da offrire la possibilità di preparare veleni altamente specifici [8]. Dalla pubblicità della ditta EMME-A: La Emme-A esegue trattamenti specifici attraverso l'utilizzo di prodotti selettivi a decisa azione insetticida e topicida, a bassa tossicità per l'uomo. Dalla pubblicità del Ratticida-topicida DT3 Difhetialone: Mortale per tutti i roditori infestanti - Tollerato dagli animali d'affezione. Tramite la sperimentazione sugli animali è possibile ottenere qualsiasi risultato si desideri ottenere. La sperimentazione su animali non solo non è una metodologia scientifica: è l'esatto opposto della scienza. Riferimenti: [1] Italian G.U. (1995) n° 19, 21/08/1995 [2] Italian G.U. (1998) n° 213, 12/09/1998 [3] ATLA (1997) vol 25 n° 5, pp. 486-490 [4] HMSO (1998) Statistics of scientific Procedures on Living Animals: Great Britain 1997, Cm 4025, 95 pp. London. [5] ATLA (2000) vol 28 n° 1, pp. 7-10 [6] Koehler M. (1999) Arzneimttelprüfung kommit mit weniger Versuchstiere aus. BMELFinformationen, 45, 1999 pp.3-4 Bonn, Germany. [7] Croce P. (2000) Vivisezione o scienza. Calderini Edagricole [8] Fano, A. (1997) Lethal Laws. Ed. Zed Books Ltd [9] Reddy M. B., Cook J. D. (1991) Assessment of Dietary Determinants of Nonheme-lron Absorption in Humans and Rats. American Yournal of Clinical Nutrition, 54, 723-8 [10] Anon. (1995) Teknos, marzo 1995 [11] Cooper J. (1992) Update in Pesticide Laws and Regulations Affecting the Food Industry. Food Technology, 95 [12] Brudnoy S. (1993) Pushing for a Paradigm Shift in Risk Assesment. The Scientist, 14 [13] Zbinden G., FluryRoversi M. (1981) Significance of the LD50-test for the toxicological evaluation of chemical substances. Archives of Toxicology, 47, 77-99. N ov iv i se z io n e .org: le al te r n at iv e a cura di Marina Berati agosto 2001 Le 3-R Il concetto di alternativa alla sperimentazione animale risale alla definizione elaborata da Russel e Burch nel 1959 e comunemente definita delle 3R: Refinement (Raffinamento), Reduction (Riduzione) Replacement (Rimpiazzamento). Con Raffinamento si intende il miglioramento delle tecniche sperimentali, compiute pur sempre su animali, in modo da ridurre la loro sofferenza; in alcuni casi, si cerca di usare animali filogeneticamente meno evoluti; con Riduzione si intende la riduzione del numero di animali usati, o l'aumento di informazioni ottenute con lo stesso numero di animali; con Rimpiazzamento si intende la sostituzione dell'animale con l'utilizzo di metodi alternativi. Di queste, solo l'ultima "R" è davvero accettabile: da un punto di vista scientifico non ha alcun senso continuare a sperimentare sugli animali, cambiando solo il numero di animali, o la specie, e le modalità dell'esperimento. Quanto ricavato sugli animali non sarà applicabile all'uomo. Potrà esserlo o non esserlo, ma lo si saprà solo DOPO aver provato la sostanza in esame sull'uomo. Ed allora sarà troppo tardi, e l'esperimento sugli animali sarà stato del tutto inutile, perché non avrà fornito alcuna informazione. In generale, comunque, quando si parla di "metodi alternativi" si continua ad applicare la regola delle 3-R, e quindi non tutti quelli che sono definiti come "alternativi" sono metodi senza l'uso di animali (vivi o morti). La direttiva europea 86/609/CEE in materia di "protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici", impone di sostituire o ridurre il più possibile il numero degli animali utilizzati. L'articolo 7.2 afferma che: "Un esperimento su un animale non dovrà essere eseguito se è disponibile un altro metodo scientificamente soddisfacente per ottenere il risultato cercato che non implichi l'uso di animali." Inoltre, l'articolo 23.1 afferma che il governo dovrebbe promuovere le alternative: "La Commissione e gli Stati Membri dovrebbero incoraggiare la ricerca nello sviluppo e nella validazione di tecniche alternative, che possano fornire lo stesso livello di informazione ottenuto dagli esperimenti su animali, ma che utilizzino meno animali o che comportino procedure meno dolorose." Quali sono i metodi alternativi La stragrande maggioranza degli esperimenti compiuti sugli animali sono quelli per i test "di tossicità" obbligatori per legge, cioè quei test che dovrebbero accertare la pericolosità di una data sostanza chimica per l'uomo. Altri esperimenti sono quelli compiuti invece nella ricerca biomedica di base, per lo studio delle malattie: in questo caso NON è obbligatorio per legge usare gli animali, però è quello che si continua a fare. Infine, una piccola percentuale di esperimenti sono quelli a scopo didatticodimostrativo. Per i test di tossicità sono state sviluppate negli ultimi vent'anni diverse metodologie: Colture di cellule e di tessuti umani, che permettono ai ricercatori di studiare specifiche parti del corpo umano. Ad esempio, cellule di sangue e tessuto canceroso servono a investigare sulle modalità con cui i virus causano le infezioni; la placenta umana può servire per provare se certi farmaci possono o meno passare la barriera placentale dalla madre al bambino. Microorganismi: servono a provare il danno genetico causato da sostanze chimiche o radiazioni. Ad esempio, il test di Ames, basato su microorganismi, è un test di mutagenicità, cioè può identificare le sostanze chimiche che danneggiano il DNA delle cellule. Modelli matematici computerizzati: esistono diversi sistemi di questo genere, per esempio "DEREK", un programma sviluppato all'univerità di Leeds il cui database contiene molte informazioni sulle reazioni allergiche. Tecniche non-invasive per immagini: servono per la ricerca sul cervello, e consentono lo studio diretto del cervello umano, attraverso metodi sicuri e non invasivi, ad esempio la PET (Tomografia a Emissione di Positroni), l'elettroencefalografia, etc. Sistemi artificiali: sono modelli in vitro che simulano una parte del corpo umano. Esistono modelli dell'intestino umano, della pelle umana, gli occhi artificiali, etc. Ecco alcuni siti sulle alternative all'utilizzo di animali nella sperimentazione: sono raccolti centri di sviluppo, di validazione, di documentazione sui metodi alternativi, riviste scientifiche dedicate ai metodi alternativi. Per quanto riguarda la sperimentazione didattica esistono ormai centinaia di metodologie alternative già validate: modellini, manichini e simulatori meccanici animali e umani; film e video; libri di fotografie; simulazioni computerizzate; esperimenti su piante, microorganismi, colture cellulari e tessutali; pratica clinica. Si possono trovare varie informazioni sull'argomento nelle seguenti pagine: Abolizione degli esperimenti didattico-dimostrativi su animali in Italia Siti sui metodi sostitutivi nella didattica Per la ricerca biomedica di base, lo studio va fatto direttamente sull'uomo (studi clinici, epidemiologici, etc. come illustrato più oltre, ovviamente rispettando rigorosamente i limiti imposti dall'etica alla ricerca clinica), e per i test di nuovi possibili farmaci si possono usare colture in vitro di tessuti o interi organi umani. I ricercatori che abbiano a cuore la vera ricerca scientifica e non la propria carriera, hanno a disposizione metodi migliori dei test sugli animali: innanzitutto la ricerca clinica: la maggior parte delle scoperte mediche (i cui successi vengono spesso attribuiti alla sperimentazione animale) sono dovute infatti ad un'osservazione clinica (sull'uomo) di un particolare fenomeno, che solo in seguito i ricercatori tentano di riprodurre negli animali, inducendo artificialmente in essi delle patologie. Essi variano le condizioni dell'esperimento, così come la specie di animale utilizzata, fintantochè non trovano una specie e una serie di condizioni per cui il risultato coincide con l'indicazione già nota fornita dall'uomo; e così il merito va "all'esperimento sull'animale"; l'epidemiologia e la statistica. L'epidemiologia studia la frequenza e la distribuzione delle patologie nella popolazione; la statistica è invece la disciplina che si occupa del trattamento dei dati numerici derivanti da un gruppo di individui. Sono stati l'impiego della epidemiologia e della statistica che hanno permesso di riconoscere la maggior parte dei fattori di rischio delle malattie cardiocircolatorie quali l'ipertensione arteriosa, il fumo, il sovrappeso, l'ipercolesterolemia; lo studio diretto dei pazienti, tramite i moderni strumenti di analisi noninvasivi. Questi metodi consentono di ottenere ottimi risultati, come è stato riscontrato per le malattie cardiache; autopsie e biopsie: le autopsie sono state cruciali per la comprensione di molte malattie; con le biopsie si possono ottenere molte informazioni durante i vari stadi della malattia. Per esempio, le biopsie endoscopiche hanno dimostrato che il cancro al colon deriva da tumori benigni chiamati adenomi. Questo è in contrasto con il modello animale più usato, in cui non vi è la sequenza adenomacarcinoma. Ecco alcuni siti di associazioni europee per la ricerca biomedica senza animali. La validazione dei metodi alternativi Ai fini della predittività nei confronti dell'uomo, la legge prevede che i modelli alternativi vadano validati. Nonostante i considerevoli sforzi compiuti per sviluppare metodi alternativi all'uso di animali, sono stati fatti relativamente pochi progressi nell'accettazione di questi test da parte degli organismi preposti. L'inerzia al cambiamento è stata significativa: sia gli scienziati sia le persone preposte ai controlli tendono a usare tecniche con cui sono già familiari. Un altro problema consiste nel metodo di validazione. La validazione è il processo che stabilisce l'affidabilità e la rilevanza di un metodo. L'affidabilità consiste nella riproducibilità dei risultati nello stesso laboratorio e tra laboratori diversi, e la rilevanza è la misura dell'utilità e della significatività del metodo per un certo scopo. I test di validazione sono molto lunghi e onerosi (possono durare molti anni), e poggiano su una base scientificamente inaccettabile: un metodo si ritiene valido quando fornisce per certe sostanze risultati simili a quelli ottenuti, in passato, per le stesse sostanze mediante animali da laboratorio. Dal punto di vista scientifico questo è insensato, perché i risultati vanno confrontati con quelli noti sull'uomo, non sugli animali (anche perché animali di specie diverse danno comunque risultati diversi tra loro). Inoltre, non ha senso confrontare i dati ottenuti da un organismo in toto con quelli di una coltura cellulare umana. Questi ultimi sono parziali, ma danno informazioni CERTE per l'uomo, i primi sono più completi ma danno informazioni completamente incerte (e quindi irrilevanti) riguardo all'effetto sull'organismo umano. Inoltre, tutti i test su animali già in uso non sono MAI stati validati (e in effetti la correlazione dei risultati da essi ottenuti e quelli ottenuti sull'uomo è molto bassa, spesso statisticamente irrilevante), ma entrano di diritto lo stesso nelle linee guida, accettate a livello mondiale, dell'Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OECD - Organization for Economic Cooperation an Development). L'Unione Europea ha istituito un centro per la validazione di metodi alternativi, l'ECVAM (European Center for the Validation of Alternative Methods) che ha sede a Ispra, Varese. I metodi alternativi già validati Finora solo tre metodi sono stati validati, in Europa, e solo uno di questi rispetta il principio della "terza R", cioè non fa uso di animali, vivi o morti, né di loro parti. Questi metodi sono stati accettati nel giugno 2000 dall'Unione Europea: si tratta di test di tossicità in vitro - due test per la corrosione cutanea e uno per la fototossicità. Il test di foto-tossicità 3T3 NRU usa cellule derivate da embrioni di topo, quindi è ancora un test con uso di animali, anche se non in vivo. Devono comunque essere uccisi dei topi per realizzare questo test, e la sua rilevanza per l'essere umano sarà tanto scarsa quanto quella degli esperimenti che usano topi vivi. La foto-tossicità si riferisce all'effetto dell'esposizione della pelle alla luce dopo essere stata esposta alla sostanza chimica da provare. Gli altri due test riguardano la corrosione della pelle, cioè i danni irreversibili alla pelle conseguenti all'applicazione della sostanza chimica da provare: il primo è un modello di pelle umana e NON usa cellule animali; il secondo, TER - Transcutaneous Electrical Resistance usa pelle di ratti uccisi "in modo umano" (valgono in questo caso le osservazioni fatte prima sulla mancata scientificità di questo metodo). Nel modello di pelle umana si applica la sostanza chimica da provare per un tempo variabile, fino a quattro ore, su un modello di pelle umana tridimensionale. Nel test TER la sostanza viene applicata per un tempo lungo fino a 24 ore sulla superficie di dischi di pelle presa da ratti giovani preventivamente uccisi. Entrambi i test sono stati in grado di discriminare in modo affidabile le sostanze già note tra corrosive e non corrosive. Il modello di pelle umana ha inoltre permesso la distinzione tra vari gradi di effetto corrosivo. La scelta di quale dei due test usare dipende dalle esigenze specifiche e dalle preferenze dell'utilizzatore. Questi nuovi metodi alternativi costituiscono il 27esimo emendamento alla Direttiva Europea 67/548/EEC. I tre test sono stati inclusi nell'allegato V della Direttiva. Gli Stati membri devono introdurre i nuovi metodi nella loro legislazioni nazionali entro il 1 ottobre 2001. La disponibilità di tessuti umani Il problema della disponibilità di tessuti e organi umani per la ricerca è effettivo e sentito: non sono disponibili abbastanza tessuti per soddisfare la richiesta delle industrie e dei centri di ricerca pubblici, in Europa. Questo è un problema importante, perché i metodi in vitro che usano tessuti umani non potranno sostituire quelli che usano animali finché non ci sarà abbastanza materia prima a disposizione, e questa sarà quindi un'ulteriore giustificazione per continuare a usare animali. Secondo l'associazione inglese Animal Aid, in UK vengono uccisi ogni anno 400.000 animali solo per usare i loro tessuti nella ricerca in vitro. Questi animali non vengono nemmeno conteggiati tra quelli usati per la vivisezione, perché su di essi non si fanno esperimenti in vivo, e quindi non risultano in nessuna statistica sugli animali usati per la ricerca. Chiaramente, la stessa ricerca in vitro fatta su tessuti umani sarebbe molto più valida da un punto di vista scientifico, e salverebbe la vita di molti animali. La donazione per la ricerca può essere di due tipi: quella "da cadavere", in cui i tessuti e gli organi vengono prelevati subito dopo la morte del donatore; e quella "da operazione chirurgica", in cui si chiede semplicemente al paziente in consenso a usare il materiale di scarto ottenuto dall'operazione per la ricerca. Chiaramente, questa seconda via è da preferire, perché al paziente solitamente non interessa cosa viene fatto del materiale asportato, mentre la donazione post-mortem pone già delle questioni etiche più sottili. I materiali che possono essere resi disponibili in questo modo sono vari: sangue, placenta, cordone ombelicale, tessuti asportati durante operazioni chirurgiche (pelle, viscere, ossa, cartilagini) o da biopsie. Nella maggior parte dei paesi europei, mentre il sistema per la donazione di organi per i trapianti è ben organizzato, non c'è alcuna linea guida sulla distribuzione del materiale non trapiantabile a fini di ricerca (tranne che per la stessa ricerca sui trapianti). In pratica, la distribuzione di organi e tessuti per la ricerca avviene solo all'interno di uno stesso ospedale, o per conoscenza diretta tra singoli ricercatori e medici, ma non esiste una vera e propria organizzazione, tranne in UK, dove esiste una banca di tessuti umani per la ricerca. C'e' inoltre la preoccupazione, fondata o meno, che questo tipo di donazione possa essere considerato "in concorrenza" con le donazioni per i trapianti, e quindi sia malvista sia dal pubblico che dalle banche di tessuti esistenti (che si occupano solo di trapianti). In realtà, questo non avviene, perché molti organi e tessuti non sono comunque utilizzabili per i trapianti, mentre sono molto utili per la ricerca. Per esempio, per un trapianto di cuore l'organo viene asportato a cuore battente, e la morte è solo cerebrale. L'organo di un paziente già morto non serve per i trapianti, ma per la ricerca sì. Inoltre, esistono molti organi e tessuti che non vengono utilizzati per i trapianti, mentre possono esserlo per la ricerca. Questo per quanto riguarda le donazioni post-mortem. Per le donazioni di materiale di scarto delle operazioni, il problema non si pone, perché questo non risulta di alcuna utilità per i trapianti. Perciò, al di là di ogni considerazione etica e scientifica sulla donazione di organi per i trapianti, la donazione per la ricerca non si pone mai in concorrenza con quella per trapianto. Su questo argomento si possono trovare maggiori informazioni su alcune pagine web (solo in inglese) indicate nella sezione Banche di tessuti umani per la ricerca della pagina dei link di questo sito. Conclusioni Come si è visto da questa panoramica, i metodi alternativi sono in fase di sviluppo già da molti anni, ma ci sono ancora varie questioni che ne rendono poco applicabile l'uso: problemi nella validazione di questi metodi, dovuta all'inerzia al cambiamento e a metodi di validazione troppo restrittivi e poco scientifici molti metodi alternativi non sono "sostitutivi", cioè usano ancora parti di animali (uccisi appositamente), e questo non è accettabile né sul piano etico né su quello scientifico inerzia al cambiamento anche nell'uso di metodi già validati difficoltà nel reperire tessuti umani utilizzabili per i test di tossicità e la ricerca, non dovuti a una vera e propria mancanza di materia prima, ma solo a una mancanza di organizzazione e normative su questo tema. Ciascuno di noi può fare qualcosa per far cambiare la situazione: occorre far sentire la nostra voce, in vari modi, affinché i legislatori tengano conto del parere dei cittadini su questo argomento importante e complesso, sia dal punto di vista etico che scientifico. Alcuni suggerimenti su come agire contro la pratica della sperimentazione animale sono contenuti nella sezione cosa puoi fare tu del sito Novivisezione.org. An ali s i c r i t i ca de i m ode lli a n im ali i n ps i c h iat r ia dott. Stefano Cagno, medico specializzato in psichiatria Il Professor Pietro Croce, noto medico antivivisezionista, ha sempre affermato che la vivisezione poggia su un errore metodologico, ossia considerare i risultati ottenuti su una specie animale validi per un'altra specie, compresa quella umana. Tutto ciò succede perché ogni specie animale possiede una propria anatomia, fisiologia, biochimica, genetica e quindi quanto si verifica, ad esempio in un cane, non è detto che si ripeta in maniera uguale o soltanto simile negli esseri umani. Personalmente ritengo che in Psichiatria l'errore sia doppio, poiché con gli animali non condividiamo il linguaggio, ossia lo strumento della comunicazione, indispensabile per comprendere le dinamiche psichiche e quindi per porre una diagnosi. Per ovviare a questo grave limite i vivisettori confondono i concetti di sintomo e di sindrome: quest'ultima è, infatti, la combinazione di diversi sintomi. Ad esempio: ogni persona vive momenti in cui si sente triste (sintomo depressione), ma soltanto quando oltre alla tristezza subentrano perdita degli interessi, rallentamento psicomotorio, affaticabilità, sensi di colpa ed incapacità, diminuzione della capacità di concentrarsi, pensieri di morte, eccetera, possiamo affermare che il paziente è affetto da una Sindrome Depressiva. I ricercatori, quindi, creano grossolani modelli animali dei sintomi umani non essendo, ovviamente, in grado di crearli per le più complesse ed uniche sindromi psichiche umane. Come risultato qualcuno è giunto persino a considerare uno stesso modello valido per patologie differenti. Ad esempio, Martin Selingman osservò che sottoponendo a scariche elettriche ripetute alcuni cani che non erano in grado di evitarle, questi ad un certo punto: "Rinunciavano ad ogni tentativo di evitare lo shock elettrico e diventavano apatici ed impotenti" (1). Selingman ritenne il suo modello valido per le ricerche sulla Depressione. Invece altri autori, quali Liddell e Masserman, pensavano che un animale sottoposto a ripetuti stimoli nocivi, quali lo shock elettrico di Selingman, potesse diventare nevrotico e pertanto rappresentare un valido modello sperimentale per i Disturbi d'Ansia (2). I modelli sperimentali per i disturbi psichici umani sono moltissimi, ma la strategia è identica. I vivisettori inducono negli animali modificazioni comportamentali agendo sull'ambiente, oppure somministrando loro sostanze chimiche. Così gli animali sono stati posti in gabbie con il pavimento elettrificato oppure riscaldato, sono stati affamati o assetati, sono stati resi ciechi cucendo le palpebre oppure togliendo loro i bulbi oculari, sono stati tagliati i baffi ai gatti, i piccoli sono stati tolti alle madri e posti in luoghi bui e isolati da qualsiasi stimolo sonoro, altri animali sono stati costretti a nuotare fino allo sfinimento. Per comprendere meglio l'artificiosità e l'irrazionalità dei modelli animali in campo psichiatrico possiamo analizzare, ad esempio, le ricerche riguardanti la schizofrenia. Per porre diagnosi bisogna che siano soddisfatti alcuni criteri elencati nei manuali diagnostici. Tra questi il più utilizzato è il DSM-IV (3) secondo cui in uno schizofrenico devono essere presenti almeno due dei seguenti sintomi: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico, sintomi negativi, vale a dire appiattimento dell'affettività, alogia, abulia. Contemporaneamente deve verificarsi uno scadimento delle funzioni sociali/ lavorative. Ad eccezione dell'abulia e in parte dell'appiattimento affettivo, nessuno di questi sintomi può essere indagato attraverso gli animali. Il delirio è una falsa credenza basata su una deduzione non corretta concernente la realtà esterna, sostenuta nonostante prove e l'opinione unanime contrarie. E' quindi evidente come un delirio possa essere comunicato solo attraverso le parole, pertanto non è mai possibile affermare che un animale delira. Ragionamento analogo vale per le allucinazioni, che sono percezioni sensoriali in assenza di stimolazione esterna dell'organo sensoriale in questione. Qualsiasi tipo d'allucinazione, visiva, uditiva, olfattiva, può essere comunicata solo attraverso il linguaggio. Anche gli animali potrebbero percepire allucinazioni, ma noi non potremmo mai essere sicuri che ciò accada. Riguardo al comportamento disorganizzato, ritengo sia valutabile solo nelle specie più evolute come cani, gatti e primati non umani. Questo sintomo però è comune a molte altre patologie, non solo psichiatriche, come ad esempio nelle demenze. Inoltre nei modelli animali è indotto dalla somministrazione di sostanze, oppure da danni al cervello provocati dagli sperimentatori e queste due condizioni, per i manuali diagnostici, escludono proprio la possibilità di porre diagnosi di schizofrenia. L'appiattimento dell'affettività non è valutabile per quanto riguarda la componente idetica, ma solo per quella comportamentale e può essere associato all'apatia. Questi due sintomi però sono comuni anche nei disturbi affettivi e in particolare nella depressione. Così la somministrazione di sostanze differenti, come la reserpina, provocano gli stessi sintomi, ma non sono considerate utili per le ricerche sulla schizofrenia. Infine, mi sembra evidente che anche lo scadimento delle funzioni sociali e lavorative non possa essere valutato negli animali. La complessità del comportamento umano e delle relazioni interpersonali non è assolutamente paragonabile a quello degli animali, tanto meno dei roditori. Anche in questo caso l'assunzione di moltissime sostanze è in grado di interferire con i comportamenti degli esseri viventi (umani o animali). Non per questo motivo sono in grado di provocare la schizofrenia: nessun essere umano è, infatti, diventato schizofrenico solo perché ha assunto anfetamine, mentre i topi che si trovano in una condizione analoga, sono considerati, dai vivisettori, validi modelli sperimentali per le ricerche sulla schizofrenia. E' curioso costatare come i modelli animali per le ricerche sulla schizofrenia, come già ricordato, utilizzino sostanze chimiche come le anfetamine o distruzioni di parte del sistema nervoso centrale come l'ippocampo (4). I manuali diagnostici stabiliscono invece che per porre diagnosi di schizofrenia bisogna verificare che il paziente non abbia assunto sostanze in grado di modificare la percezione e/o il comportamento e inoltre che non esistano condizioni mediche (ad esempio traumi cranici) in grado di giustificare la sintomatologia. La validità, quindi, dei modelli animali per quanto riguarda la schizofrenia è smentita dagli stessi manuali diagnostici. Un altro esempio significativo può essere quello dei modelli comportamentali della depressione. In questo caso agli animali non è somministrata alcuna sostanza, ma sono posti in condizioni sperimentali particolari, fisicamente o psicologicamente traumatiche, tali da provocare modificazioni che i ricercatori interpretano come segni di depressione. All'inizio degli anni '60, presso l'Università del Wisconsin, Hanry Harlow scoprì che i piccoli di scimmia rhesus separati dalle loro madri mostravano una risposta di disperazione ritenuta analoga ad alcune forme di depressione umana (5). Alcuni anni dopo, Selingman e Maier hanno osservato che cani e ratti cui erano state somministrate scariche elettriche senza possibilità di fuga, non riuscivano ad apprendere adeguate risposte alla fuga in una situazione in cui questa era possibile (6). Da allora in poi Harlow, Seligman e molti altri ricercatori hanno compiuto esperimenti sempre più complessi e crudeli, aumentando così l'artificiosità della situazione, ma non l'utilità nella comprensione della malattia. Tra i tanti possiamo ricordare quelli in cui Harlow separava scimmie rhesus dalla madre durante le prime settimane di vita. Poiché, in questo periodo la scimmia dipende dalla madre per cibo e protezione ed anche per il calore fisico e la sicurezza emotiva, Harlow sostituì la madre con un surrogato di filo di ferro o di stoffa. Il piccolo dimostrò di preferire il surrogato rivestito di stoffa, che gli dava il conforto da contatto, rispetto al surrogato di filo metallico, che dava cibo ma non conforto. (7). Che cosa ha scoperto con questi esperimenti Harlow? Niente di più di quanto chiunque si occupa di violenze sui minori conosce da sempre. I bambini e ancora di più i neonati, anche se maltrattati e respinti dai genitori, cercano comunque un contatto affettivo e anche fisico con questi ultimi. Harlow non ha fatto altro che confermare quanto già ampiamente dimostrato e conosciuto negli esseri umani. Nonostante ciò una ricerca del dottor Martin Stephens ha rilevato che tra gli anni 1961 e 1984 sono state pubblicati ben 368 lavori riguardanti la deprivazione materna (8). A prescindere dalla crudeltà, se non dal vero e proprio sadismo, di questi esperimenti, è anche importante sottolineare dal punto di vista scientifico, che i sintomi prodotti non sono assolutamente corrispondenti a quelli umani. Il comportamento depressivo è prodotto in una percentuale molto maggiore negli animali rispetto a quella presente nella popolazione generale e questo risulta facilmente intuibile, poiché la quantità di stress cui sono sottoposti gli animali è notevole. Inoltre, non sempre negli esseri umani è presente un evento stressante e comunque non così forte come negli animali. Anzi, se seguiamo sempre i criteri diagnostici dei manuali, ci accorgiamo che questi modelli sperimentali non sono assolutamente riferibili alla depressione. Questa patologia, infatti, si manifesta molto spesso senza una causa scatenante. Quando invece questa è presente, soprattutto se molto traumatica, dobbiamo porre altre diagnosi, come quelle di Disturbo dell'Adattamento con Umore Depresso oppure Disturbo Post-Traumatico da Stress o Disturbo Acuto da Stress. Infine questi sintomi indotti artificialmente negli animali regrediscono rapidamente se reintrodotti in un ambiente normale. Questo non avviene negli esseri umani, non solo nei casi di Sindrome Depressiva, ma anche in tutti quei casi in cui è presente una reazione depressiva ad un evento drammatico o traumatico. Ragionamenti analoghi possono essere posti per qualsiasi altra patologia, come i Disturbi d'Ansia o i Disturbi Alimentari. Concludendo, credo che l'arretratezza in cui si trova la psichiatria dipenda anche da un errato modo di impostare la ricerca, per cui, alla comprensione delle dinamiche psichiche umane, si preferiscono gli inutili modelli animali, dai quali è impossibile trarre alcun dato trasferibile alla nostra specie. Riferimenti bibliografici 1.Manuale di Psichiatria: H.I. Sadock, pag. 136-137 Vi ed. EdiSES 1993 2.Le nevrosi apprese: a cura di Ezio Sanavio, pag.41 Franco Angeli Editore 1981 3.American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali IVa edizione - Masson 1995 4.Schmajuk N.A., Schizophrenia Bulletin, vol. 13, pp. 317-327, 1987 5.Harlow H.F. e Harlow M.K. Social deprivation in monkeys, Sci. Am. 207, pp. 136-146, 1962 6.Seligman M.E.P. e altri, Failure to escape traumatic shock. J Exper Psychol, 74, pp. 1-9, 1967 7.Manuale di Psichiatria: H.I. Kaplan e B.J. Sadock, pag 138, VI ed. EdiSES. 1993 8.M.L. Stevens. Maternal Deprivation Experiments in Psychology. American Antivivisection Society, National Antivivisection Society Chicago e New England Antivivisection Society, 1986 Questo articolo è in parte tratto dal libro, dello stesso autore: "Sperimentazione animale e psiche: un'analisi critica", Stefano Cagno; Ed. Cosmopolis, 2001

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