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venerdì 8 giugno 2018
Il crimine della sperimentazione animale condotto da medici falliti
L a S pe r im e n taz io n e An im ale i n O c c ide n te dalle O r igi n i
a O ggi
di Massimo Siri e Marina Berati, luglio 2002
Questo scritto è un estratto dei capitoli 2 e 3 del libro (disponibile solo in
inglese): "Sacred Cows and Golden Geese" di Ray Greek e Jean Swingle Greek,
Ed. Continuum, Londra-New York, 2000.
L'uso degli animali nella ricerca medica umana sembra suggerito da una certa
logica, che però si rivela piuttosto superficiale. Se da una parte, infatti, non
sembra strano formulare delle congetture sulla base delle molte similitudini tra
noi e gli altri mammiferi, dall'altra, le conclusioni scientifiche sono ben altra cosa.
I dati disponibili in letteratura dimostrano oltre ogni ombra di dubbio che l'uso di
animali per la ricerca medica umana costituisce un metodo anti scientifico e
controproducente. Ripercorrendo dall'inizio la storia della sperimentazione
animale, o vivisezione, vedremo che essa è fatta di ignoranza, egoismo,
pregiudizio della Chiesa e tragiche conseguenze tanto per gli animali quanto per
gli stessi esseri umani.
L'Eredità di Galeno
Il cammino dell'acquisizione della conoscenza medica iniziò con il piede giusto.
Nel IV secolo A.C. Ippocrate fu il padre della ricerca clinica. Ancora oggi
l'osservazione clinica fornisce le informazioni mediche più accurate e utili.
Il medico più famoso dell'antichità, dopo Ippocrate, fu Galeno Claudio di Pegamo
(129-200 D.C.), medico dei gladiatori e del figlio di Marco Aurelio. Galeno iniziò
con lo studio del corpo umano, ma la Chiesa non permise più le autopsie umane,
ritenendole altamente immorali. Non potendo più dissezionare cadaveri umani,
Galeno ricorse agli animali, diventando così il padre della vivisezione. Galeno
combinò i dati fisiologici animali con quelli umani, e scrisse più di cinquecento
trattati di medicina che lo resero famoso. Ma le sue conclusioni erano
ampiamente errate e imprecise in parte a causa della sperimentazione animale,
e in parte a causa di sue errate interpretazioni.
Tutta la teoria di Galeno si basava sull'assunto che la salute e la malattia
dipendevano dallo stato di quattro umori: il sangue, il muco, la bile gialla e quella
nera. Galeno riteneva che il sangue venisse prodotto dal fegato, e sebbene ne
riconoscesse la circolazione, era convinto che le vene e le arterie non fossero tra
loro collegate e che il sangue fluisse da un atrio all'altro del cuore attraverso
micropori invisibili presenti nel cuore stesso. Inoltre Galeno attribuiva il cancro
ad una infiammazione prodotta da un'invasione degli umori.
Gli studi successivi, eseguiti su cadaveri umani, avrebbero in seguito eliminato
molti di questi errori. Gli errori di Galeno, uniti alle proibizioni della Chiesa,
soffocarono lo sviluppo della medicina fino al XVI secolo.
Il Grande Risveglio - la Scienza del Rinascimento
Nel XIII secolo l'anatomista Mondino dei Liuzzi (1270-1326) pubblicò
"Anathomia" (1316), il primo vero trattato di anatomia umana. Ma non bastava
ancora per sbarazzarsi dell'eredità di Galeno; la resistenza opposta al
cambiamento dei metodi scientifici era ancora molto forte. Paracelso
(1493-1541), scienziato e docente all'Università di Basilea, fu licenziato per aver
bruciato in pubblico il lavoro di Galeno. Anche le scoperte di Leonardo da Vinci
(1452-1519) sulle arterie e le valvole arteriose non ricevettero in quegli anni la
dovuta attenzione.
Finalmente l'impeto di Andrea Vesalio (1514-64), anatomista e medico
fiammingo, spazzò via il pensiero medioevale. Egli riprese a dissezionare i corpi
umani e fondò l'anatomia descrittiva dell'uomo in "De Humani Corporis
Fabrica" (1543). Mentre le pubblicazioni precedenti erano speculazioni basate
sulla dissezione animale, il testo di Vesalio, come quello di Liuzzi, si basava
sull'anatomia umana.
Le scoperte di Vesalio, pubblicate nello stesso anno in cui Copernico pubblicò
quelle in campo astronomico, minarono le fondamenta stesse della civiltà, quelle
della Chiesa, e diedero inizio alla rivoluzione scientifica. La Chiesa accusò Vesalio
perfino di eresia, un crimine capitale, per aver provato che l'uomo e la donna
hanno lo stesso numero di costole!
Superate le resistenze opposte dalla Chiesa, finalmente l'acquisizione della
conoscenza medica accelerò, e da Vesalio in poi, la dissezione umana tornò ad
essere praticata per tutto il Rinascimento nelle scuole mediche più prestigiose
d'Europa, a partire da quelle italiane, come Bologna e Padova.
William Harvey (1578-1657) medico, anatomista e fisiologo inglese, studente
dell'Università di Padova, dimostrò con le autospie che il sangue circola dall'atrio
destro del cuore a quello sinistro attraverso le arterie e le vene, sovvertendo così
la teoria di Galeno basata sui micropori invisibili nel cuore.
Docente di Harvey, all'Università di Padova, fu Girolamo Fabrizio di
Acquapendente (1533-1619). Egli scoprì, attraverso le autopsie, che le valvole
del cuore impediscono al sangue di rifluire nella vene. Fabrizio fu anche il primo a
sostenere che il sangue passa dal cuore alle arterie e ritorna al cuore attraverso
le vene. Sempre grazie alle autopsie si scoprì che il sangue passa attraverso i
polmoni per caricarsi di ossigeno. Tutto questo dimostra che era, ed è, possibile
spiegare la circolazione del sangue senza utilizzare animali.
Nella stessa epoca, il medico e anatomista Giambattista Morgagni (1682-1771)
fece moltissime scoperte in campo anatomico e contribuì a diffondere l'autopsia
come metodo ideale per correlare le anormalità fisiche alle malattie. Le autospie
umane rivelarono la maggior parte delle conoscenze sul corpo umano che oggi
consideriamo scontate, ma che a quel tempo non lo erano affatto.
Subito dopo Morgagni, un anatomista francese, Marie François Xavier Bichat
(1771-1802) postulò che il cancro è dovuto a una sovvracrescita dei tessuti e
non a un'infiammazione causata dalla invasione degli umori, come sosteneva
Galeno.
Grazie alla dissezione umana si classificarono numerosi tipi di lesioni, si
scoprirono migliaia di malattie e le loro correlazioni con le anormalità fisiche, e si
fecero numerose scoperte nel campo della medicina e della chirugia. La scienza
medica sembrava finalmente uscire dall'epoca buia in cui l'aveva gettata Galeno,
ma, tragicamente, la storia ripetè se stessa e i suoi errori.
La ricerca medica umana attraverso la vivisezione
A metà del XIX secolo un francese, Claude Bernard (1813-78), ripropose la
sperimentazione animale. Bernard non fu uno studente modello, si rivolse alla
scuola medica solo dopo aver fallito come commediografo. Alla fine riuscì ad
ottenere un incarico come fisiologo in un laboratorio. Bernard riuscì a persuadere
la comunità scientifica della "validità" della sperimentazione animale e del fatto
che una malattia che non fosse riproducibile negli animali non poteva esistere
nell'uomo, anche a dispetto dei dati clinici raccolti sull'uomo che dimostrassero il
contrario.
La comunità scientifica considerò i metodi di Bernard preferibili all'osservazione
sull'uomo, in quanto molto più convenienti data l'abbondanza di animali a
disposizione. Visti i precedenti di Bernard, gli scienziati capirono anche che la
sperimentazione animale avrebbe fornito loro sia denaro che reputazione. Chi
mancava di talento in ambito clinico poteva sempre fare carriera in laboratorio.
Nel 1865 Bernard pubblicò il libro "Introduzione allo Studio della Medicina
Sperimentale". In esso descriveva il laboratorio come il "santuario della scienza
medica" e profetizzava che grazie alla sperimentazione animale si sarebbero
potute guarire molte più persone di quanto non si potesse fare con
l'osservazione clinica. Inoltre sosteneva che gli effetti dei medicinali e delle
sostanze tossiche erano gli stessi sia sull'uomo che sugli animali, a parte una
differenza nel grado, mentre oggi sappiamo che non è affatto così.
Nel 1875, uno degli studenti di Bernard, il Dr. George Hoggan, fondò la prima
società antivivisezionista inglese, la Victorian Street Society. Hoggan scrisse che
dopo quattro anni di esperimenti sugli animali era giunto alla conclusione che
nessuno di quegli esperimenti era giustificabile o necessario. Tuttavia la
sperimentazione animale guadagnava sempre più terreno e nessun studente o
medico osava metterla in discussione per paura di ritorsioni o di perdere il posto.
Nel 1859 Charles Robert Darwin (1809-92), naturalista inglese, pubblicò "Sulla
origine delle Specie", abbozzo della teoria evoluzionistica che lo rese famoso in
tutto il mondo. Secondo il darwinismo la specie umana non costituisce la meta
verso cui tutte le altre specie tendono in una lunga e lenta evoluzione. Tutte le
altre specie sono ugualmente all'apice dell'evoluzione, quindi il fatto che gli
animali non sono le "brutte copie" degli umani, non li rende affatto adatti allo
studio della medicina per gli umani. Bernard, da parte sua, rifiutò
completamente la teoria evoluzionista.
L'errore metodologico persevera
Nel XIX secolo il chimico e biologo francese Luis Pasteur (1822-95) diede tre
importanti contributi alla scienza medica senza ricorrere all'uso di animali: la
sterilizzazione, la pastorizzazione e la teoria dei germi della malattia. Grazie
all'osservazione postulò che le malattie si trasmettono da una persona all'altra
per contatto attraverso dei microrganismi.
Pasteur cercò poi un vaccino contro la rabbia sperimentando su cani. Sugli esseri
umani, però, il vaccino non funzionava e poteva perfino essere mortale. L'unico
successo che Pasteur ottenne con la sperimentazione animale fu a beneficio
degli animali stessi. Pasteur studiò l'antrace negli ungulati e il colera nei polli e
trovò i vaccini per prevenirli.
Contemporaneo di Pasteur era il batteriologo tedesco Robert Koch (1834-1911).
Koch formulò sei postulati per stabilire se un certo agente patogeno poteva
essere considerato la causa di una certa malattia. Uno dei postulati stabiliva che
il microrganismo doveva indurre la medesima malattia quando inoculato negli
animali. Koch venne però smentito dai suoi stessi esperimenti. Usando tessuti
umani infetti dal colera, osservò che i topi bianchi non contraevano la malattia.
Sperimentando su altri animali, non riuscì mai a riprodurre qualcosa di simile al
processo del colera conosciuto nell'uomo. Messi da parte i topi e grazie al
microscopio, Koch scoprì l'agente patogeno del colera. A quel punto fu sua
opinione che se anche un giorno si fosse riusciti a ricreare negli animali qualcosa
di simile al colera, ciò non avrebbe aggiunto nulla di nuovo alle conoscenze
acquisiste sull'uomo.
Koch utilizzò di nuovo gli animali nel tentativo di sviluppare un vaccino contro la
tubercolosi, e di nuovo gli effetti del vaccino si dimostrarono disastrosi per
l'uomo. Koch ritrattò così i postulati che coinvolgevano gli animali. La sua
esperienza dimostrò che quando un agente patogeno di una certa malattia è
inoculato negli animali, la risposta dipende dalla specie. Non molto prima di
morire Koch scrisse: un esperimento su un animale non dà alcuna indicazione
sul risultato dello stesso esperimento su un essere umano.
Nonostante il tempo smentisse poi i presunti successi in nome della
sperimentazione animale, essa continuò a diffondersi in tutte le branche della
medicina. Non solo, ogni scoperta ottenuta con l'osservazione clinica e le
autopsie non era considerata valida se non si riusciva a riprodurla negli animali
da laboratorio, contro ogni evidenza ottenuta sull'uomo stesso!
Alcuni esempi. La malattia di Addison, dal nome del suo scopritore, il medico
inglese Thomas Addison (1793-1860), si manifesta quando le ghiandole
surrenali non sono più in grado di produrre certi tipi di ormoni. La sua scoperta
fu ignorata per trent'anni, solo perché i ricercatori non riuscivano a riprodurre gli
stessi sintomi della malattia negli animali da laboratorio a cui erano state
asportate tali ghiandole.
Nel 1895, in un'operazione chirurgica su una donna, il Dr. Robert T. Morris
mostrò il funzionamento delle ovaie. Ma il merito andò nel 1896 al ricercatore
tedesco Emil Knauer per aver riprodotto la procedura sui conigli.
Nel 1833, il fisiologo e chirurgo militare americano William Beaumont, potè
studiare il processo digestivo attraverso una grossa apertura nell'addome di un
paziente, Alexis St. Martin, ferito da un colpo di arma da fuoco. Claude Bernard si
affrettò a "validare" questo lavoro sugli animali. Beaumont morì nel 1853. Nel
1904 il fisiologo russo Ivan Pavlos ricevette il Premio Nobel dopo aver pubblicato
i suoi studi sui meccanismi digestivi, studi compiuti sugli animali, quando
Beaumont, decenni prima, aveva già documentato le stesse cose direttamente
da osservazioni su casi umani.
Una finestra sul microcosmo
L'avvento del microscopio fu decisivo e fece compiere alla medicina un balzo in
avanti nella comprensione dei sistemi viventi.
Il primo microscopio fu inventato dal bolognese Marcello Malpighi nel 1650. Già
nel 1665, lo scienziato inglese Robert Hooke descrisse nella sua "Micrographia"
le proprie osservazioni al microscopio di strutture biologiche. Poco tempo dopo, lo
scienziato olandese Anton Van Leeuwenhoek, descrisse batteri e spermatozoi,
senza usare animali.
Il microscopio moderno fu costruito nel 1828 da Joseph Lister. Esso portò
all'accettazione della teoria delle cellule, secondo cui ogni organismo può essere
compreso attraverso lo studio delle sue cellule. Questa rivelazione è di
fondamentale importanza per la medicina e a favore delle argomentazioni contro
la sperimentazione animale. Secondo il patologo tedesco Rudolf Virchow
(1821-1902), tutte le cellule derivano da cellule preesistenti. Nella sua
descrizione della leucemia, diventa chiaro che le malattie avvengono e si
diffondono a livello cellulare, e le cellule malate derivano da cellule che prima
erano sane. Virchow concluse che solo studiando i tessuti al microscopio si può
comprendere la nostra natura.
Grazie al microscopio gli scienziati constatarono con il tempo molte differenze tra
le cellule umane e quelle di altre specie, e perfino tra le cellule di individui di
razza diversa nell'ambito della stessa specie. Fu presto chiaro che, anche se
tutte le cellule, vegetali e animali, presentano caratteristiche comuni, le cellule
delle varie specie sono differenti e reagiscono in modo diverso alle malattie e alle
terapie.
Tuttavia la gente continua a credere che si dovrebbero usare gli animali come
modelli, specialmente i primati, poiché la loro struttura genetica approssima di
molto la nostra. Il nostro DNA è uguale a quello delle grandi scimmie per il
97-99%. Sebbene questa approssimazione sia più che buona, non tiene in alcun
conto le differenze a livello di sequenze di coppie-base del DNA, che contengono
le informazioni per la formazione degli amminoacidi, e di cui sappiamo ancora
poco. Pertanto l'argomento DNA a favore della sperimentazione animale è molto
ingannevole.
Nel corso della storia si è osservato il ripetersi dello stesso schema: ogni nuovo
sviluppo porta a metodi migliori per compiere osservazioni più dettagliate. Le
similitudini tra umani e animali si dissolvono e diventano meno significative,
mentre le differenze si accentuano e diventano più importanti. Sono queste
differenze che rendono i risultati della sperimentazione animale inapplicabili agli
esseri umani.
Legalizzazione della vivisezione
Agli inizi del '900 i tempi erano maturi perché la sperimentazione animale
venisse accettata dalla comunità scientifica per il test di nuovi farmaci. Fu
sufficiente un singolo avvenimento che si verificò nel 1937 negli Stati Uniti. Un
nuovo antibiotico disciolto in una sostanza chimica, il diethilene glycol, provocò la
morte di 107 persone. Gli scienziati somministrarono il farmaco ad alcuni
animali, e anche questi morirono. Ma questa fu una coincidenza, che non
provava affatto che tutte le specie animali reagiscono allo stesso modo a tutte le
sostanze chimiche.
Nel 1938 il Congresso americano approvò una legge che impegnava le case
farmaceutiche a provare la sicurezza dei propri prodotti. Ciò significava testare
prima i prodotti sugli animali. La responsabilià dei controlli della corretta
applicazione di questa normativa fu affidato alla Food and Drug Administration
(FDA), una divisione del Dipartimento della Salute e Servizi Umani degli Stati
Uniti.
La Seconda Guerra Mondiale incentivò lo sviluppo del settore farmaceutico a
causa dell'enorme richiesta di antibiotici e vaccini. Per massimizzare i profitti le
case farmaceutiche brevettarono i propri prodotti e si assicurarono il favore dei
medici offrendo loro vasti campioni gratuiti, borse in pelle e perfino viaggi
premio. Nel 1951 fu resa obbligatoria la prescrizione per la maggior parte dei
farmaci. Ciò servì a rafforzare la collaborazione tra i medici e le case
farmaceutiche, ad accrescere la fiducia dei pazienti nella medicina, e ad
aumentare i profitti.
Gli anni del Talidomine
Le cure miracolose pubblicizzate dalle case farmaceutiche non tardarono a
manifestare gravi effetti collaterali. Il più noto e grave fu quello del Talidomide,
un tranquillante per le gestanti che si dimostrò teratogeno. Teratogena è una
sostanza che altera il corredo genetico con il risultato di alterare il normale
sviluppo dell'embrione e causare deformazioni nel nascituro.
Widikund Lenz, un pediatra tedesco, fu il primo a suggerire una correlazione tra
il talidomide e la teratogenesi. Le gestanti che avevano assunto il talidomide
diedero alla luce bambini focomelici, cioè privi di arti sviluppati. Il primo caso
registrato di focomelia causata dal talidomide risale al 25 dicembre 1956, ma nel
1957 il farmaco fu comunque messo trionfalmente in commercio. Seguirono
altri casi di nati focomelici a cui seguirono nuove sperimentazioni sugli animali.
Gli scienziati cercavano negli animali la prova di ciò che già era noto nell'uomo.
Nessuno degli animali da laboratorio trattati con il talidomide produsse feti
focomelici e ciò ritardò il suo ritiro dal mercato.
Soltanto dopo la catastrofe, con dosi massicce di talidomide provate in
innumerevoli specie di animali, si ottennero alcuni nati focomelici in una delle
(circa) 150 razze di coniglio, il coniglio bianco neozelandese, a dosi comprese tra
le 25 e le 300 volte superiori a quella normale per l'uomo. Inoltre, si ottennero
malformazioni in certe specie di scimmia a dosi dieci volte superiori a quella
normale.
L'assunzione del Dr. Lenz, basata su un riscontro epidemiologico con centinaia di
casi focomelici, fu ignorata per cinque anni. Il farmaco fu ritirato nel 1962
quando ormai erano nati oltre 10.000 bambini focomelici. Gli studi sugli animali
giocarono un ruolo attivo nell'ampliare questa tragedia. La ricerca su tessuti
umani in vitro avrebbe evitato tutto questo.
Il talidomide ha impartito un insegnamento: è assolutamente inutile saggiare la
teratogenicità di una sostanza negli animali.
Il Decreto fatale
Il disastro del talidomide fece sì che i Senatori Estes Kefauver e Hubert
Humphrey avviassero una revisione dell'FDA e del precedente atto che regolava
la commercializzazione dei farmaci. L'atto legislativo Kefauver-Harris richiedeva
ora alle case farmaceutiche di produrre non solo prove sulla sicurezza dei loro
farmaci, ma anche sulla loro efficacia. Purtroppo, richiedeva anche che i vari test
venissero compiuti su varie specie animali, permettendo così alle cause
farmaceutiche, di continuare su questa strada errata.
Già negli anni '60 molti scienziati erano comunque consci dei limiti del modello
animale. Persino il prestigioso giornale di Medicina The Lancet ammise che anche
i test più accurati sugli effetti di un nuovo farmaco sugli animali sono poco
informativi riguardo i suoi effetti sull'uomo. In uno studio di allora, gli scienziati
confrontarono gli effetti collaterali noti di sei farmaci in topi, cani e umani. Gli
effetti collaterali come il mal di testa, che sono difficili da identificare negli
animali, non furono considerati. Dei 78 effetti collaterali avversi osservati
nell'uomo, solo il 36 o 46 percento di questi erano presenti negli animali.
La sperimentazione animale continuò e persiste ancora oggi, poiché essa
rappresenta un rifugio legale dietro cui le case farmaceutiche possono difendersi.
Test di tossicità
Il fatto che i test sugli animali siano obbligatori, permette di dire, a chi vuole che
essi continuino, che gli studi sugli animali hanno giocato un ruolo in ogni
scoperta degli ultimi decenni. In realtà le cose stanno diversamente: è vero che
gli animali figurano nelle scoperte, ma solo perché gli animali da laboratorio sono
ovunque; le scoperte certamente non facevano affidamento su di essi.
Da quando divenne obbligatorio per legge fornire i dati sulla tossicità di tutte le
sostanze chimiche e farmaceutiche prima della loro immissione sul mercato,
venne usato come standard un test chiamato "LD50". LD50 sta per Lethal Dose
Fifty Percent. Dosi crescenti di sostanza chimica o farmaco sono somministrate
agli animali, di solito cani e ratti, fino a quando il 50 percento dei soggetti non
muore. Quel dosaggio è designato LD50.
Di tutti i test di tossicità, l'LD50 è il più assurdo, perché i ratti, i cani e gli esseri
umani, non possono reagire allo stesso modo alle sostanze chimiche e
farmaceutiche. Nel corso degli ultimi quarant'anni, molti dei farmaci che furono
testati e approvati con il test LD50, ebbero sull'uomo effetti drasticamente
diversi.
Nel 1987, in un'udienza congressuale sull'argomento, eminenti tossicologi
affermarono che l'LD50 non è una costante biologica. Nonostante questo, l'LD50
continua a essere usato, anche se recentemente il modo di procedere è stato
revisionato in modo da richiedere un numero minore di animali (senza
cambiarne, però, la sostanza). Questo genere di test offrono alle grandi società la
possibilità di difendersi in caso di danni alla salute causati dai loro prodotti,
potendo sostenere di aver eseguito i dovuti esperimenti sugli animali. Inoltre,
scegliendo opportunamente la specie animale, si potrà dimostrare un risultato o
il suo contrario a seconda di quanto fa comodo al committente.
L a t r u f fa de i te s t s u a n im ali : la prov a de f i n i t iv a
Dr. Massimo Tettamanti
Gli animali più usati per scopi sperimentali sono sicuramente i roditori: topi, ratti
e cavie [1-6].
Sono piccoli, facilmente gestibili, costano poco e la loro durata di vita di due-tre
anni è sufficientemente breve da permettere rapidi studi di cancerogenesi [7].
Esistono differenze microscopiche dei processi metabolici e anche differenze
macroscopiche fra uomini e animali.
Alcune delle differenze macroscopiche più famose sono: a differenza dell'uomo, i
roditori non sono in grado di vomitare le tossine [8]; l'uomo può accumulare
agenti nocivi dal naso e dalla bocca mentre i roditori respirano solo dal naso [8];
ratti, topi e criceti sintetizzano la Vitamina C all'interno del loro corpo ottenendo
così naturalmente un potente agente anticancerogeno mentre l'uomo non è in
grado di farlo [7]; i ratti hanno una elevata capacità enzimatica di non
accumulare massa grassa (che in loro si accumula nel fegato) a differenza
dell'uomo nel quale si accumula nelle arterie, diventando una potenziale causa di
patologie [7]; i ratti vivono solo 2-3 anni; un'altra differenza è che i ratti
femmina hanno una salute migliore se possono continuamente restare gravide
[8]; inoltre è diverso l'assorbimento del ferro nelle diverse specie [9].
Citando alcune delle sostanze chimiche più famose, il benzolo e l'arsenico,
cancerogeni per l'uomo, non lo sono per i roditori che vengono normalmente
utilizzati per questo tipo di test [7].
Allo stesso modo, la naftilamina, cancerogena per la vescica urinaria umana, non
provoca nessun tipo di cancro nel topo [7].
Una ricerca, partita dall'Università di Manitoba, a Winnipeg [10] ha messo in
evidenza che molti antistaminici e alcuni antidepressivi (fluoxetina, amitriptilina,
ecc...) provocano il cancro ai topi.
Le aziende produttrici hanno replicato che i loro laboratori possono dimostrare
l'innocuità delle sostanze incriminate.
Quindi, in alcuni laboratori, gli studi su animali hanno dimostrato la pericolosità
di molte sostanze; in altri laboratori, gli studi su animali hanno dimostrato
l'innocuità delle stesse sostanze.
Ciascuno può ottenere il risultato che preferisce, che più fa comodo.
Ad esempio, nel 1992, dopo essere stata denunciata, l'Agenzia di Protezione
dell'Ambiente Statunitense (EPA) usò i test su animali per difendersi e garantire
la sicurezza di pesticidi in prodotti alimentari [8].
L'anno successivo, cambiata evidentemente la linea politica, l'EPA produsse una
lista di pesticidi, tra i quali quelli per cui era stata denunciata, che avrebbero
dovuto essere ritirati dal mercato in quanto cancerogeni per gli animali da
laboratorio [11-12].
L'unica spiegazione a questa palese contraddizione è la possibilità dell'EPA di
disporre di vari dati su animali, contraddittori fra di loro, e la decisione di
scegliere, in funzione della situazione, i dati più utili.
Questo esempio, come molti altri, testimonia il vero e reale motivo per cui si
continuano a utilizzare gli esperimenti su animali: la possibilità di dimostrare
qualsiasi ipotesi.
Se si vuol dimostrare che una sostanza è innocua, è possibile farlo usando gli
animali.
Se si vuol dimostrare che la stessa sostanza è tossica, è possibile farlo usando
altri animali o altre condizioni di esperimento.
Non è solo la scelta della specie animale infatti che permette di ottenere il
risultato voluto: la sperimentazione su animali è una pratica talmente poco
controllabile che, anche utilizzando esclusivamente i ratti, gli animali più usati in
assoluto, è possibile modificare leggermente le condizioni sperimentali e ottenere
risultati completamente variabili.
Nel 1981, sempre il prof. Zbinden pubblicò un articolo [13], diventato subito
famosissimo, in cui criticava pesantemente questa metodologia, dimostrando
che i risultati che si ottengono dagli animali dipendono, oltre che dalla specie
animale utilizzata, anche dalle condizioni in cui viene effettuato l'esperimento:
dal ceppo, dal sesso, dall'età, dalle condizioni di stabulazione, dall'alimentazione,
dal rumore, dallo stress dell'animale, ecc.
I roditori sono animali naturalmente notturni e tendono a cibarsi durante la
notte: basterebbe questo fatto per invalidare la sperimentazione su animali.
Gli animali nei laboratori, per ovvi motivi, vengono costretti a cibarsi di giorno e a
vivere in gabbie senza posti dove nascondersi dalla luce; tutto questo li costringe
ad adattarsi a situazioni innaturali capaci, già da sole, di alterare profondamente
il loro metabolismo.
La prova definitiva della truffa vivisettoria è la seguente:
mentre i tossicologi continuano a sostenere che roditori e uomini sono
così simili da permettere l'utilizzo di questi animali per testare le
sostanze chimiche che verranno a contatto con l'uomo, i produttori di
rodenticidi assicurano che i roditori sono così diversi dall'uomo (e dai
suoi animali d'affezione) da offrire la possibilità di preparare veleni
altamente specifici [8].
Dalla pubblicità della ditta EMME-A:
La Emme-A esegue trattamenti specifici attraverso l'utilizzo di prodotti selettivi a
decisa azione insetticida e topicida, a bassa tossicità per l'uomo.
Dalla pubblicità del Ratticida-topicida DT3 Difhetialone:
Mortale per tutti i roditori infestanti - Tollerato dagli animali d'affezione.
Tramite la sperimentazione sugli animali è possibile ottenere qualsiasi risultato si
desideri ottenere.
La sperimentazione su animali non solo non è una metodologia scientifica: è
l'esatto opposto della scienza.
Riferimenti:
[1] Italian G.U. (1995) n° 19, 21/08/1995 [2] Italian G.U. (1998) n° 213,
12/09/1998 [3] ATLA (1997) vol 25 n° 5, pp. 486-490 [4] HMSO (1998)
Statistics of scientific Procedures on Living Animals: Great Britain 1997, Cm
4025, 95 pp. London. [5] ATLA (2000) vol 28 n° 1, pp. 7-10 [6] Koehler M.
(1999) Arzneimttelprüfung kommit mit weniger Versuchstiere aus. BMELFinformationen,
45, 1999 pp.3-4 Bonn, Germany. [7] Croce P. (2000)
Vivisezione o scienza. Calderini Edagricole [8] Fano, A. (1997) Lethal Laws. Ed.
Zed Books Ltd [9] Reddy M. B., Cook J. D. (1991) Assessment of Dietary
Determinants of Nonheme-lron Absorption in Humans and Rats. American
Yournal of Clinical Nutrition, 54, 723-8 [10] Anon. (1995) Teknos, marzo 1995
[11] Cooper J. (1992) Update in Pesticide Laws and Regulations Affecting the
Food Industry. Food Technology, 95 [12] Brudnoy S. (1993) Pushing for a
Paradigm Shift in Risk Assesment. The Scientist, 14 [13] Zbinden G., FluryRoversi
M. (1981) Significance of the LD50-test for the toxicological evaluation
of chemical substances. Archives of Toxicology, 47, 77-99.
N ov iv i se z io n e .org: le al te r n at iv e
a cura di Marina Berati
agosto 2001
Le 3-R
Il concetto di alternativa alla sperimentazione animale risale alla definizione
elaborata da Russel e Burch nel 1959 e comunemente definita delle 3R:
Refinement (Raffinamento), Reduction (Riduzione) Replacement
(Rimpiazzamento).
Con Raffinamento si intende il miglioramento delle tecniche sperimentali,
compiute pur sempre su animali, in modo da ridurre la loro sofferenza; in alcuni
casi, si cerca di usare animali filogeneticamente meno evoluti; con Riduzione si
intende la riduzione del numero di animali usati, o l'aumento di informazioni
ottenute con lo stesso numero di animali; con Rimpiazzamento si intende la
sostituzione dell'animale con l'utilizzo di metodi alternativi.
Di queste, solo l'ultima "R" è davvero accettabile: da un punto di vista scientifico
non ha alcun senso continuare a sperimentare sugli animali, cambiando solo il
numero di animali, o la specie, e le modalità dell'esperimento. Quanto ricavato
sugli animali non sarà applicabile all'uomo. Potrà esserlo o non esserlo, ma lo si
saprà solo DOPO aver provato la sostanza in esame sull'uomo. Ed allora sarà
troppo tardi, e l'esperimento sugli animali sarà stato del tutto inutile, perché non
avrà fornito alcuna informazione.
In generale, comunque, quando si parla di "metodi alternativi" si continua ad
applicare la regola delle 3-R, e quindi non tutti quelli che sono definiti come
"alternativi" sono metodi senza l'uso di animali (vivi o morti).
La direttiva europea 86/609/CEE in materia di "protezione degli animali utilizzati
a fini sperimentali o ad altri fini scientifici", impone di sostituire o ridurre il più
possibile il numero degli animali utilizzati.
L'articolo 7.2 afferma che:
"Un esperimento su un animale non dovrà essere eseguito se è disponibile un
altro metodo scientificamente soddisfacente per ottenere il risultato cercato che
non implichi l'uso di animali."
Inoltre, l'articolo 23.1 afferma che il governo dovrebbe promuovere le
alternative:
"La Commissione e gli Stati Membri dovrebbero incoraggiare la ricerca nello
sviluppo e nella validazione di tecniche alternative, che possano fornire lo stesso
livello di informazione ottenuto dagli esperimenti su animali, ma che utilizzino
meno animali o che comportino procedure meno dolorose."
Quali sono i metodi alternativi
La stragrande maggioranza degli esperimenti compiuti sugli animali sono quelli
per i test "di tossicità" obbligatori per legge, cioè quei test che dovrebbero
accertare la pericolosità di una data sostanza chimica per l'uomo.
Altri esperimenti sono quelli compiuti invece nella ricerca biomedica di base, per
lo studio delle malattie: in questo caso NON è obbligatorio per legge usare gli
animali, però è quello che si continua a fare.
Infine, una piccola percentuale di esperimenti sono quelli a scopo didatticodimostrativo.
Per i test di tossicità sono state sviluppate negli ultimi vent'anni diverse
metodologie:
Colture di cellule e di tessuti umani, che permettono ai ricercatori di
studiare specifiche parti del corpo umano. Ad esempio, cellule di sangue e
tessuto canceroso servono a investigare sulle modalità con cui i virus causano le
infezioni; la placenta umana può servire per provare se certi farmaci possono o
meno passare la barriera placentale dalla madre al bambino.
Microorganismi: servono a provare il danno genetico causato da sostanze
chimiche o radiazioni. Ad esempio, il test di Ames, basato su microorganismi, è
un test di mutagenicità, cioè può identificare le sostanze chimiche che
danneggiano il DNA delle cellule.
Modelli matematici computerizzati: esistono diversi sistemi di questo
genere, per esempio "DEREK", un programma sviluppato all'univerità di Leeds il
cui database contiene molte informazioni sulle reazioni allergiche.
Tecniche non-invasive per immagini: servono per la ricerca sul cervello, e
consentono lo studio diretto del cervello umano, attraverso metodi sicuri e non
invasivi, ad esempio la PET (Tomografia a Emissione di Positroni),
l'elettroencefalografia, etc.
Sistemi artificiali: sono modelli in vitro che simulano una parte del corpo
umano. Esistono modelli dell'intestino umano, della pelle umana, gli occhi
artificiali, etc.
Ecco alcuni siti sulle alternative all'utilizzo di animali nella sperimentazione: sono
raccolti centri di sviluppo, di validazione, di documentazione sui metodi
alternativi, riviste scientifiche dedicate ai metodi alternativi.
Per quanto riguarda la sperimentazione didattica esistono ormai centinaia di
metodologie alternative già validate:
modellini, manichini e simulatori meccanici animali e umani;
film e video;
libri di fotografie;
simulazioni computerizzate;
esperimenti su piante, microorganismi, colture cellulari e tessutali;
pratica clinica.
Si possono trovare varie informazioni sull'argomento nelle seguenti pagine:
Abolizione degli esperimenti didattico-dimostrativi su animali in Italia
Siti sui metodi sostitutivi nella didattica
Per la ricerca biomedica di base, lo studio va fatto direttamente sull'uomo
(studi clinici, epidemiologici, etc. come illustrato più oltre, ovviamente
rispettando rigorosamente i limiti imposti dall'etica alla ricerca clinica), e per i
test di nuovi possibili farmaci si possono usare colture in vitro di tessuti o interi
organi umani. I ricercatori che abbiano a cuore la vera ricerca scientifica e non la
propria carriera, hanno a disposizione metodi migliori dei test sugli animali:
innanzitutto la ricerca clinica: la maggior parte delle scoperte mediche (i cui
successi vengono spesso attribuiti alla sperimentazione animale) sono dovute
infatti ad un'osservazione clinica (sull'uomo) di un particolare fenomeno, che
solo in seguito i ricercatori tentano di riprodurre negli animali, inducendo
artificialmente in essi delle patologie. Essi variano le condizioni dell'esperimento,
così come la specie di animale utilizzata, fintantochè non trovano una specie e
una serie di condizioni per cui il risultato coincide con l'indicazione già nota
fornita dall'uomo; e così il merito va "all'esperimento sull'animale";
l'epidemiologia e la statistica. L'epidemiologia studia la frequenza e la
distribuzione delle patologie nella popolazione; la statistica è invece la disciplina
che si occupa del trattamento dei dati numerici derivanti da un gruppo di
individui. Sono stati l'impiego della epidemiologia e della statistica che hanno
permesso di riconoscere la maggior parte dei fattori di rischio delle malattie
cardiocircolatorie quali l'ipertensione arteriosa, il fumo, il sovrappeso,
l'ipercolesterolemia;
lo studio diretto dei pazienti, tramite i moderni strumenti di analisi noninvasivi.
Questi metodi consentono di ottenere ottimi risultati, come è stato
riscontrato per le malattie cardiache;
autopsie e biopsie: le autopsie sono state cruciali per la comprensione di
molte malattie; con le biopsie si possono ottenere molte informazioni durante i
vari stadi della malattia. Per esempio, le biopsie endoscopiche hanno dimostrato
che il cancro al colon deriva da tumori benigni chiamati adenomi. Questo è in
contrasto con il modello animale più usato, in cui non vi è la sequenza adenomacarcinoma.
Ecco alcuni siti di associazioni europee per la ricerca biomedica senza animali.
La validazione dei metodi alternativi
Ai fini della predittività nei confronti dell'uomo, la legge prevede che i modelli
alternativi vadano validati.
Nonostante i considerevoli sforzi compiuti per sviluppare metodi alternativi
all'uso di animali, sono stati fatti relativamente pochi progressi nell'accettazione
di questi test da parte degli organismi preposti. L'inerzia al cambiamento è stata
significativa: sia gli scienziati sia le persone preposte ai controlli tendono a usare
tecniche con cui sono già familiari.
Un altro problema consiste nel metodo di validazione. La validazione è il processo
che stabilisce l'affidabilità e la rilevanza di un metodo. L'affidabilità consiste
nella riproducibilità dei risultati nello stesso laboratorio e tra laboratori diversi,
e la rilevanza è la misura dell'utilità e della significatività del metodo per un
certo scopo.
I test di validazione sono molto lunghi e onerosi (possono durare molti anni), e
poggiano su una base scientificamente inaccettabile: un metodo si ritiene valido
quando fornisce per certe sostanze risultati simili a quelli ottenuti, in passato,
per le stesse sostanze mediante animali da laboratorio. Dal punto di vista
scientifico questo è insensato, perché i risultati vanno confrontati con quelli noti
sull'uomo, non sugli animali (anche perché animali di specie diverse danno
comunque risultati diversi tra loro). Inoltre, non ha senso confrontare i dati
ottenuti da un organismo in toto con quelli di una coltura cellulare umana.
Questi ultimi sono parziali, ma danno informazioni CERTE per l'uomo, i primi
sono più completi ma danno informazioni completamente incerte (e quindi
irrilevanti) riguardo all'effetto sull'organismo umano.
Inoltre, tutti i test su animali già in uso non sono MAI stati validati (e in effetti la
correlazione dei risultati da essi ottenuti e quelli ottenuti sull'uomo è molto
bassa, spesso statisticamente irrilevante), ma entrano di diritto lo stesso nelle
linee guida, accettate a livello mondiale, dell'Organizzazione per la Cooperazione
Economica e lo Sviluppo (OECD - Organization for Economic Cooperation an
Development).
L'Unione Europea ha istituito un centro per la validazione di metodi alternativi,
l'ECVAM (European Center for the Validation of Alternative Methods) che ha
sede a Ispra, Varese.
I metodi alternativi già validati
Finora solo tre metodi sono stati validati, in Europa, e solo uno di questi rispetta
il principio della "terza R", cioè non fa uso di animali, vivi o morti, né di loro parti.
Questi metodi sono stati accettati nel giugno 2000 dall'Unione Europea: si tratta
di test di tossicità in vitro - due test per la corrosione cutanea e uno per la
fototossicità.
Il test di foto-tossicità 3T3 NRU usa cellule derivate da embrioni di topo,
quindi è ancora un test con uso di animali, anche se non in vivo. Devono
comunque essere uccisi dei topi per realizzare questo test, e la sua rilevanza per
l'essere umano sarà tanto scarsa quanto quella degli esperimenti che usano topi
vivi. La foto-tossicità si riferisce all'effetto dell'esposizione della pelle alla luce
dopo essere stata esposta alla sostanza chimica da provare.
Gli altri due test riguardano la corrosione della pelle, cioè i danni irreversibili alla
pelle conseguenti all'applicazione della sostanza chimica da provare: il primo è un
modello di pelle umana e NON usa cellule animali; il secondo, TER -
Transcutaneous Electrical Resistance usa pelle di ratti uccisi "in modo
umano" (valgono in questo caso le osservazioni fatte prima sulla mancata
scientificità di questo metodo).
Nel modello di pelle umana si applica la sostanza chimica da provare per un
tempo variabile, fino a quattro ore, su un modello di pelle umana
tridimensionale.
Nel test TER la sostanza viene applicata per un tempo lungo fino a 24 ore sulla
superficie di dischi di pelle presa da ratti giovani preventivamente uccisi.
Entrambi i test sono stati in grado di discriminare in modo affidabile le sostanze
già note tra corrosive e non corrosive. Il modello di pelle umana ha inoltre
permesso la distinzione tra vari gradi di effetto corrosivo. La scelta di quale dei
due test usare dipende dalle esigenze specifiche e dalle preferenze
dell'utilizzatore.
Questi nuovi metodi alternativi costituiscono il 27esimo emendamento alla
Direttiva Europea 67/548/EEC. I tre test sono stati inclusi nell'allegato V della
Direttiva.
Gli Stati membri devono introdurre i nuovi metodi nella loro legislazioni nazionali
entro il 1 ottobre 2001.
La disponibilità di tessuti umani
Il problema della disponibilità di tessuti e organi umani per la ricerca è effettivo e
sentito: non sono disponibili abbastanza tessuti per soddisfare la richiesta delle
industrie e dei centri di ricerca pubblici, in Europa.
Questo è un problema importante, perché i metodi in vitro che usano tessuti
umani non potranno sostituire quelli che usano animali finché non ci sarà
abbastanza materia prima a disposizione, e questa sarà quindi un'ulteriore
giustificazione per continuare a usare animali.
Secondo l'associazione inglese Animal Aid, in UK vengono uccisi ogni anno
400.000 animali solo per usare i loro tessuti nella ricerca in vitro. Questi animali
non vengono nemmeno conteggiati tra quelli usati per la vivisezione, perché su
di essi non si fanno esperimenti in vivo, e quindi non risultano in nessuna
statistica sugli animali usati per la ricerca.
Chiaramente, la stessa ricerca in vitro fatta su tessuti umani sarebbe molto più
valida da un punto di vista scientifico, e salverebbe la vita di molti animali.
La donazione per la ricerca può essere di due tipi: quella "da cadavere", in cui i
tessuti e gli organi vengono prelevati subito dopo la morte del donatore; e quella
"da operazione chirurgica", in cui si chiede semplicemente al paziente in
consenso a usare il materiale di scarto ottenuto dall'operazione per la ricerca.
Chiaramente, questa seconda via è da preferire, perché al paziente solitamente
non interessa cosa viene fatto del materiale asportato, mentre la donazione
post-mortem pone già delle questioni etiche più sottili.
I materiali che possono essere resi disponibili in questo modo sono vari: sangue,
placenta, cordone ombelicale, tessuti asportati durante operazioni chirurgiche
(pelle, viscere, ossa, cartilagini) o da biopsie.
Nella maggior parte dei paesi europei, mentre il sistema per la donazione di
organi per i trapianti è ben organizzato, non c'è alcuna linea guida sulla
distribuzione del materiale non trapiantabile a fini di ricerca (tranne che per la
stessa ricerca sui trapianti). In pratica, la distribuzione di organi e tessuti per la
ricerca avviene solo all'interno di uno stesso ospedale, o per conoscenza diretta
tra singoli ricercatori e medici, ma non esiste una vera e propria organizzazione,
tranne in UK, dove esiste una banca di tessuti umani per la ricerca.
C'e' inoltre la preoccupazione, fondata o meno, che questo tipo di donazione
possa essere considerato "in concorrenza" con le donazioni per i trapianti, e
quindi sia malvista sia dal pubblico che dalle banche di tessuti esistenti (che si
occupano solo di trapianti). In realtà, questo non avviene, perché molti organi e
tessuti non sono comunque utilizzabili per i trapianti, mentre sono molto utili
per la ricerca. Per esempio, per un trapianto di cuore l'organo viene asportato a
cuore battente, e la morte è solo cerebrale. L'organo di un paziente già morto
non serve per i trapianti, ma per la ricerca sì. Inoltre, esistono molti organi e
tessuti che non vengono utilizzati per i trapianti, mentre possono esserlo per la
ricerca. Questo per quanto riguarda le donazioni post-mortem. Per le donazioni
di materiale di scarto delle operazioni, il problema non si pone, perché questo
non risulta di alcuna utilità per i trapianti.
Perciò, al di là di ogni considerazione etica e scientifica sulla donazione di organi
per i trapianti, la donazione per la ricerca non si pone mai in concorrenza con
quella per trapianto.
Su questo argomento si possono trovare maggiori informazioni su alcune pagine
web (solo in inglese) indicate nella sezione Banche di tessuti umani per la ricerca
della pagina dei link di questo sito.
Conclusioni
Come si è visto da questa panoramica, i metodi alternativi sono in fase di
sviluppo già da molti anni, ma ci sono ancora varie questioni che ne rendono
poco applicabile l'uso:
problemi nella validazione di questi metodi, dovuta all'inerzia al cambiamento e
a metodi di validazione troppo restrittivi e poco scientifici
molti metodi alternativi non sono "sostitutivi", cioè usano ancora parti di
animali (uccisi appositamente), e questo non è accettabile né sul piano etico né
su quello scientifico
inerzia al cambiamento anche nell'uso di metodi già validati
difficoltà nel reperire tessuti umani utilizzabili per i test di tossicità e la ricerca,
non dovuti a una vera e propria mancanza di materia prima, ma solo a una
mancanza di organizzazione e normative su questo tema.
Ciascuno di noi può fare qualcosa per far cambiare la situazione: occorre far
sentire la nostra voce, in vari modi, affinché i legislatori tengano conto del parere
dei cittadini su questo argomento importante e complesso, sia dal punto di vista
etico che scientifico. Alcuni suggerimenti su come agire contro la pratica della
sperimentazione animale sono contenuti nella sezione cosa puoi fare tu del sito
Novivisezione.org.
An ali s i c r i t i ca de i m ode lli a n im ali i n ps i c h iat r ia
dott. Stefano Cagno, medico specializzato in psichiatria
Il Professor Pietro Croce, noto medico antivivisezionista, ha sempre affermato
che la vivisezione poggia su un errore metodologico, ossia considerare i risultati
ottenuti su una specie animale validi per un'altra specie, compresa quella
umana. Tutto ciò succede perché ogni specie animale possiede una propria
anatomia, fisiologia, biochimica, genetica e quindi quanto si verifica, ad esempio
in un cane, non è detto che si ripeta in maniera uguale o soltanto simile negli
esseri umani.
Personalmente ritengo che in Psichiatria l'errore sia doppio, poiché con gli
animali non condividiamo il linguaggio, ossia lo strumento della comunicazione,
indispensabile per comprendere le dinamiche psichiche e quindi per porre una
diagnosi.
Per ovviare a questo grave limite i vivisettori confondono i concetti di sintomo e
di sindrome: quest'ultima è, infatti, la combinazione di diversi sintomi. Ad
esempio: ogni persona vive momenti in cui si sente triste (sintomo depressione),
ma soltanto quando oltre alla tristezza subentrano perdita degli interessi,
rallentamento psicomotorio, affaticabilità, sensi di colpa ed incapacità,
diminuzione della capacità di concentrarsi, pensieri di morte, eccetera, possiamo
affermare che il paziente è affetto da una Sindrome Depressiva.
I ricercatori, quindi, creano grossolani modelli animali dei sintomi umani non
essendo, ovviamente, in grado di crearli per le più complesse ed uniche sindromi
psichiche umane. Come risultato qualcuno è giunto persino a considerare uno
stesso modello valido per patologie differenti. Ad esempio, Martin Selingman
osservò che sottoponendo a scariche elettriche ripetute alcuni cani che non
erano in grado di evitarle, questi ad un certo punto: "Rinunciavano ad ogni
tentativo di evitare lo shock elettrico e diventavano apatici ed impotenti" (1).
Selingman ritenne il suo modello valido per le ricerche sulla Depressione. Invece
altri autori, quali Liddell e Masserman, pensavano che un animale sottoposto a
ripetuti stimoli nocivi, quali lo shock elettrico di Selingman, potesse diventare
nevrotico e pertanto rappresentare un valido modello sperimentale per i Disturbi
d'Ansia (2).
I modelli sperimentali per i disturbi psichici umani sono moltissimi, ma la
strategia è identica. I vivisettori inducono negli animali modificazioni
comportamentali agendo sull'ambiente, oppure somministrando loro sostanze
chimiche. Così gli animali sono stati posti in gabbie con il pavimento elettrificato
oppure riscaldato, sono stati affamati o assetati, sono stati resi ciechi cucendo le
palpebre oppure togliendo loro i bulbi oculari, sono stati tagliati i baffi ai gatti, i
piccoli sono stati tolti alle madri e posti in luoghi bui e isolati da qualsiasi stimolo
sonoro, altri animali sono stati costretti a nuotare fino allo sfinimento.
Per comprendere meglio l'artificiosità e l'irrazionalità dei modelli animali in campo
psichiatrico possiamo analizzare, ad esempio, le ricerche riguardanti la
schizofrenia. Per porre diagnosi bisogna che siano soddisfatti alcuni criteri
elencati nei manuali diagnostici. Tra questi il più utilizzato è il DSM-IV (3)
secondo cui in uno schizofrenico devono essere presenti almeno due dei
seguenti sintomi: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento
grossolanamente disorganizzato o catatonico, sintomi negativi, vale a dire
appiattimento dell'affettività, alogia, abulia.
Contemporaneamente deve verificarsi uno scadimento delle funzioni sociali/
lavorative. Ad eccezione dell'abulia e in parte dell'appiattimento affettivo,
nessuno di questi sintomi può essere indagato attraverso gli animali. Il delirio è
una falsa credenza basata su una deduzione non corretta concernente la realtà
esterna, sostenuta nonostante prove e l'opinione unanime contrarie. E' quindi
evidente come un delirio possa essere comunicato solo attraverso le parole,
pertanto non è mai possibile affermare che un animale delira.
Ragionamento analogo vale per le allucinazioni, che sono percezioni sensoriali in
assenza di stimolazione esterna dell'organo sensoriale in questione. Qualsiasi
tipo d'allucinazione, visiva, uditiva, olfattiva, può essere comunicata solo
attraverso il linguaggio. Anche gli animali potrebbero percepire allucinazioni, ma
noi non potremmo mai essere sicuri che ciò accada.
Riguardo al comportamento disorganizzato, ritengo sia valutabile solo nelle
specie più evolute come cani, gatti e primati non umani. Questo sintomo però è
comune a molte altre patologie, non solo psichiatriche, come ad esempio nelle
demenze. Inoltre nei modelli animali è indotto dalla somministrazione di
sostanze, oppure da danni al cervello provocati dagli sperimentatori e queste due
condizioni, per i manuali diagnostici, escludono proprio la possibilità di porre
diagnosi di schizofrenia.
L'appiattimento dell'affettività non è valutabile per quanto riguarda la
componente idetica, ma solo per quella comportamentale e può essere associato
all'apatia. Questi due sintomi però sono comuni anche nei disturbi affettivi e in
particolare nella depressione. Così la somministrazione di sostanze differenti,
come la reserpina, provocano gli stessi sintomi, ma non sono considerate utili
per le ricerche sulla schizofrenia.
Infine, mi sembra evidente che anche lo scadimento delle funzioni sociali e
lavorative non possa essere valutato negli animali. La complessità del
comportamento umano e delle relazioni interpersonali non è assolutamente
paragonabile a quello degli animali, tanto meno dei roditori.
Anche in questo caso l'assunzione di moltissime sostanze è in grado di interferire
con i comportamenti degli esseri viventi (umani o animali). Non per questo
motivo sono in grado di provocare la schizofrenia: nessun essere umano è,
infatti, diventato schizofrenico solo perché ha assunto anfetamine, mentre i topi
che si trovano in una condizione analoga, sono considerati, dai vivisettori, validi
modelli sperimentali per le ricerche sulla schizofrenia.
E' curioso costatare come i modelli animali per le ricerche sulla schizofrenia,
come già ricordato, utilizzino sostanze chimiche come le anfetamine o distruzioni
di parte del sistema nervoso centrale come l'ippocampo (4). I manuali diagnostici
stabiliscono invece che per porre diagnosi di schizofrenia bisogna verificare che il
paziente non abbia assunto sostanze in grado di modificare la percezione e/o il
comportamento e inoltre che non esistano condizioni mediche (ad esempio
traumi cranici) in grado di giustificare la sintomatologia. La validità, quindi, dei
modelli animali per quanto riguarda la schizofrenia è smentita dagli stessi
manuali diagnostici.
Un altro esempio significativo può essere quello dei modelli comportamentali
della depressione. In questo caso agli animali non è somministrata alcuna
sostanza, ma sono posti in condizioni sperimentali particolari, fisicamente o
psicologicamente traumatiche, tali da provocare modificazioni che i ricercatori
interpretano come segni di depressione. All'inizio degli anni '60, presso
l'Università del Wisconsin, Hanry Harlow scoprì che i piccoli di scimmia rhesus
separati dalle loro madri mostravano una risposta di disperazione ritenuta
analoga ad alcune forme di depressione umana (5). Alcuni anni dopo, Selingman
e Maier hanno osservato che cani e ratti cui erano state somministrate scariche
elettriche senza possibilità di fuga, non riuscivano ad apprendere adeguate
risposte alla fuga in una situazione in cui questa era possibile (6).
Da allora in poi Harlow, Seligman e molti altri ricercatori hanno compiuto
esperimenti sempre più complessi e crudeli, aumentando così l'artificiosità della
situazione, ma non l'utilità nella comprensione della malattia. Tra i tanti
possiamo ricordare quelli in cui Harlow separava scimmie rhesus dalla madre
durante le prime settimane di vita. Poiché, in questo periodo la scimmia dipende
dalla madre per cibo e protezione ed anche per il calore fisico e la sicurezza
emotiva, Harlow sostituì la madre con un surrogato di filo di ferro o di stoffa. Il
piccolo dimostrò di preferire il surrogato rivestito di stoffa, che gli dava il conforto
da contatto, rispetto al surrogato di filo metallico, che dava cibo ma non
conforto. (7).
Che cosa ha scoperto con questi esperimenti Harlow? Niente di più di quanto
chiunque si occupa di violenze sui minori conosce da sempre. I bambini e ancora
di più i neonati, anche se maltrattati e respinti dai genitori, cercano comunque
un contatto affettivo e anche fisico con questi ultimi. Harlow non ha fatto altro
che confermare quanto già ampiamente dimostrato e conosciuto negli esseri
umani. Nonostante ciò una ricerca del dottor Martin Stephens ha rilevato che tra
gli anni 1961 e 1984 sono state pubblicati ben 368 lavori riguardanti la
deprivazione materna (8).
A prescindere dalla crudeltà, se non dal vero e proprio sadismo, di questi
esperimenti, è anche importante sottolineare dal punto di vista scientifico, che i
sintomi prodotti non sono assolutamente corrispondenti a quelli umani. Il
comportamento depressivo è prodotto in una percentuale molto maggiore negli
animali rispetto a quella presente nella popolazione generale e questo risulta
facilmente intuibile, poiché la quantità di stress cui sono sottoposti gli animali è
notevole. Inoltre, non sempre negli esseri umani è presente un evento
stressante e comunque non così forte come negli animali. Anzi, se seguiamo
sempre i criteri diagnostici dei manuali, ci accorgiamo che questi modelli
sperimentali non sono assolutamente riferibili alla depressione. Questa patologia,
infatti, si manifesta molto spesso senza una causa scatenante. Quando invece
questa è presente, soprattutto se molto traumatica, dobbiamo porre altre
diagnosi, come quelle di Disturbo dell'Adattamento con Umore Depresso oppure
Disturbo Post-Traumatico da Stress o Disturbo Acuto da Stress.
Infine questi sintomi indotti artificialmente negli animali regrediscono
rapidamente se reintrodotti in un ambiente normale. Questo non avviene negli
esseri umani, non solo nei casi di Sindrome Depressiva, ma anche in tutti quei
casi in cui è presente una reazione depressiva ad un evento drammatico o
traumatico.
Ragionamenti analoghi possono essere posti per qualsiasi altra patologia, come i
Disturbi d'Ansia o i Disturbi Alimentari.
Concludendo, credo che l'arretratezza in cui si trova la psichiatria dipenda anche
da un errato modo di impostare la ricerca, per cui, alla comprensione delle
dinamiche psichiche umane, si preferiscono gli inutili modelli animali, dai quali è
impossibile trarre alcun dato trasferibile alla nostra specie.
Riferimenti bibliografici
1.Manuale di Psichiatria: H.I. Sadock, pag. 136-137 Vi ed. EdiSES 1993
2.Le nevrosi apprese: a cura di Ezio Sanavio, pag.41 Franco Angeli Editore 1981
3.American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi
mentali IVa edizione - Masson 1995
4.Schmajuk N.A., Schizophrenia Bulletin, vol. 13, pp. 317-327, 1987
5.Harlow H.F. e Harlow M.K. Social deprivation in monkeys, Sci. Am. 207, pp.
136-146, 1962
6.Seligman M.E.P. e altri, Failure to escape traumatic shock. J Exper Psychol, 74,
pp. 1-9, 1967
7.Manuale di Psichiatria: H.I. Kaplan e B.J. Sadock, pag 138, VI ed. EdiSES.
1993
8.M.L. Stevens. Maternal Deprivation Experiments in Psychology. American
Antivivisection Society, National Antivivisection Society Chicago e New England
Antivivisection Society, 1986
Questo articolo è in parte tratto dal libro, dello stesso autore: "Sperimentazione
animale e psiche: un'analisi critica", Stefano Cagno; Ed. Cosmopolis, 2001
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