Vorrei raccontarvi la storia di Pallina.
Pallina è arrivata nella nostra casa tre anni fa.
Dopo la morte del cane Arturo e della gatta Lenticchia la casa era rimasta vuota fin troppo tempo.
I miei figli desideravano una nuova micia e siamo andati a sceglierla in un gattile-rifugio.
Scegliere un gatto
La prima cosa che ho insegnato ai miei figli, Marta e Tommaso, è che un gatto non è un cane: banale a dirsi, ma sono due specie diverse, due mondi etologici differenti e da scoprire.
La scelta di Pallina è stata difficile fra tanti bellissimi gattini. La seconda cosa che ho insegnato è stato quindi scegliere un micio, un micio che avesse avuto la mamma il tempo necessario perché gli fossero insegnati tre processi fondamentali per la sua vita futura:
■ la socializzazione con la propria specie: questo vuol dire riconoscere gli altri gatti come suoi simili e scegliere loro come partner per la riproduzione
■ saper esplorare l’ambiente circostante con tutti i suoi nuovi stimoli acustici, visivi, tattili e odorosi; quindi la presenza della mamma è fondamentale per poter prendere fiato, si dice “appagarsi”, per poi potersi riavvicinare allo stimolosconosciuto e pian piano abituarsi ad esso
■ acquisire gli auto-controlli, cioè il saper inibire i propri movimenti, controllare il morso e saper retrarre le unghie in modo da non far male ai fratelli mentre si fanno i giochi di lotta. Una delle applicazioni dell’inibizione nei movimenti è quando la mamma gatta prende i figli per la collottola per trasportarli da un posto ad un altro: questo meccanismo viene chiamato, dal francese, “riflesso del portage”.
Quindi abbiamo preso Pallina per la collottola e l’abbiamo sollevata delicatamente; subito si è immobilizzata rannicchiandosi su se stessa: perfetta inibizione, inoltre l’età di adozione era
quella giusta, cioè sui cinquanta giorni di vita e quindi... via a casa.
Il territorio del gatto
La terza cosa che ho insegnato ai miei bambini è che un gatto, in quanto essere vivente, va rispettato: si deve lasciare il tempo ad un animale appena adottato di abituarsi al nuovo ambiente, lasciandolo in pace in modo che possa perlustrare l’abitazione, trasformandola in territorio. Questo concetto è fondamentale e differenzia il cane dal gatto: quando il cucciolo di cane diventa adolescente abbandona il tetto materno per entrare a far parte del mondo degli adulti, cioè del branco; questo processo si chiama “distacco”. L’attaccamento che il cucciolo aveva per la madre, figura di riferimento oltre che polo appagante, si trasferisce al nuovo gruppo sociale e particolarmente alla figura del "centro referenziale. Nel gatto, al contrario, l’attaccamento verso la madre si trasferisce al territorio dove andrà a vivere. Marta e Tommaso erano stupiti di vedere Pallina che dopo qualche giorno iniziava a strusciarsi con il muso sui mobili, sugli stipiti delle porte, addirittura sui loro giocattoli oltre che sulle gambe e le mani di tutti i componenti familiari.
Pallina stava rilasciando dei messaggi olfattivi, di cui noi non percepiamo la presenza, tramite delle molecole chimiche chiamate “feromoni” che sono secrete, cioè liberate nell’ambiente, da ghiandole posizionate in diversi punti del suo corpo.
Il gatto segna il suo territorio, si dice “marcare”, in particolare i confini dei campi territoriali ed i sentieri che li uniscono, tramite le marcature di identificazione, che permettono il deposito di feromoni oltre ad altri segnali che possono essere vocali e visivi.
Grazie a questo comportamento egli si sente a suo agio, insomma “a casa sua”.
Tra l’altro con tale comportamento il gatto marca e riconosce più facilmente anche gli esseri viventi a lui graditi: si chiamano “allomarcature”. Ecco perché ama sfregarsi anche su di noi e sui nostri vestiti; è un po’ come se mettesse un cartello con scritto: «questo umano, questo cane, sono miei amici!»; è ciò che viene chiamata “socializzazione inter-specifica”, che impedisce i comportamenti di aggressione predatoria o la fuga per paura.
Ovviamente più marcature feromonali sono presenti e minore sarà la necessità di lasciare segnali di altra natura (e poco graditi da noi umani) nell’ambiente. Quindi ho potuto tranquillizzare mia moglie che già tremava al pensiero delle tende di casa e dei mobili. Infatti il “farsi le unghie”, non è nient’altro che un’altra comunicazione feromonale, oltre che visiva, che è possibile ridurre, o addirittura eliminare, con alcuni accorgimenti. Ad esempio il posizionare i famosi tira-graffi, che devono essere posti in verticale e di materiale quale legno (i gatti adorano quello di ulivo), moquette o corda, vicino a dove il gatto dorme(insomma alla periferia del campo di isolamento). A ciò bisogna aggiungere di evitare di pulire continuamente dove il gatto sta cercando di lasciare i suoi feromoni con le marcature facciali; in caso di graffiature si possono spruzzare sui mobili, magari di gran valore, dei feromoni artificiali, oggi in commercio.
Più complessa è la spiegazione delle “marcature urinarie”. Intanto bisogna differenziarle rispetto alle normali pipì del gatto, dette “eliminazioni”: queste ultime avvengono su supporti orizzontali, su un substrato abituale (sabbietta, terra, ritagli di giornali, ecc.); avvengono con il gatto accovacciatoe con un comportamento di copertura dei bisogni.
Al contrario le marcature urinarie avvengono generalmente su supporti verticali (mobili, muri, porte, finestre, oggetti vari); il gatto, soprattutto il maschio, si pone con la coda alzata ed emette un getto di urina a breve distanza. Molti pensano che siano solamente delle marcature legate alla sessualità, mentre le cause possono essere delle perturbazioni emozionali
(stati ansiosi) o la scomparsa di almeno il 70% delle marcature facciali nell’ambiente. Questo spiega le marcature dopo i traslochi nelle nuove case oppure le ristrutturazioni delle
abitazioni: il gatto si sente perso senza i suoi punti di riferimento territoriali e deve ricominciare da capo a crearsi un territorio, ma ciò avviene con un grande senso di disagio.
Ma attenzione! Prima di pensare ad un problema comportamentale, il vostro medico veterinario dovrà escludere un problema organico legato alle vie urinarie (cistite, presenza
di cristalli nelle urine, eccetera).
Come abbiamo accennato prima, con il nome di territorio si intende un insieme di campi territoriali uniti fra loro da sentieri; fra questi troviamo:
■ il campo di attività: differenziato fra campo di caccia, dove si mangia, e campo di gioco
■ il campo di isolamento: il luogo dove il gatto si apparta, dorme ed evita il contatto.Tutti i mici amano dormire in posti diversi, per esempio Pallina ama stare al sole su un divano o su una poltrona nel salone di giorno, mentre dorme sul nostro letto di notte. È interessante notare che più un gatto è timoroso o poco socializzato e più tenderà a dormire in un luogo appartato o in luogo posto in alto: ciò sottolinea il fatto che il territorio del gatto è tridimensionale
■ il campo di eliminazione: Pallina come la maggioranza dei suoi simili ha imparato subito a cosa serviva la cassetta posta nel bagno di servizio ed ha trovato di suo gradimento il substrato fatto di sabbietta. È importante che la cassetta si trovi in un posto tranquillo, sicuramente non in luogo di passaggio,dove non piova e tiri vento e con una sabbietta non troppo
profumata, in quanto, a causa dell’olfatto così sviluppato e sensibile nel gatto, potrebbe trovarla insopportabile.
Ma allora se il territorio è così importante per il nostro gatto, cosa potrebbe succedere nel caso dovesse essere adottato un altro micio o micia?
L’entrata di un nuovo gatto non è accettata di buon grado da parte del gatto di casa: per lui è un intrusione nel suo territorio.
Quindi non dobbiamo metterli a contatto subito tra loro, ma permettere che si abituino l’uno alla presenza dell’altro in modo graduale e senza scontri. Solo in questo modo i due gatti
potranno convivere pacificamente creando dei propri campi territoriali che possono al limite sovrapporsi. Ciò comporta una cassetta, un ciotola per il cibo e per l’acqua per ogni gatto;
inoltre dovremo concedere a ciascuno un proprio posto per dormire, a meno che non diventino amici per la pelle tanto che, oltre a giocare a rincorrersi o a simulare una lotta, potremmo
vederli ronfare insieme!
Il gioco
La quarta cosa che ho insegnato ai miei figli è che il gioco del gatto è fondamentalmente una caccia (si dice “gioco predatorio”). Pallina infatti adora inseguire, balzare sulla preda ed immobilizzarla con i suoi artigli e addentarla.
Per questo motivo è importante insegnargli da subito che la sua preda non possono essere le nostre mani o i nostri piedi!
Altrimenti, quando sarà adulta, rischierà di farci del male, anche se involontariamente.
A Marta e Tommaso ho insegnato quindi a giocare da subito con il loro gatto con delle palline di carta stagnola o dei topolini finti da far acchiappare, delle piume legate ad uno spago da far inseguire, ecc. (non vi sono limiti alla propria fantasia) evitando di fare dei giochi di lotta oppure di favorire gli attacchi allecaviglie delle persone di casa che, quando a compierli è un
gattino ci fanno sorridere, ma che fatti da un gatto adulto possono provocare delle serie ferite alle gambe.
Se vi rammentate il discorso sugli autocontrolli che abbiamo fatto all’inizio capirete anche che è necessario interrompere il gioco ogni volta che il gatto si eccita in maniera eccessiva
o non retrae le unghie, in quanto il possibile rischio è che non imparerà mai ad arrestare per tempo le sue attività.
Ricordiamoci che il gioco è anche la fonte principale di esperienza e di attività fisica per il nostro gatto: dobbiamo interagire con lui regolarmente tutti i giorni, per rispettare le sue esigenze comportamentali, oltre che per mantenerlo in forma; e non solo da piccolo, ma durante tutta la sua vita.
Gli stimoli psicologici possono anche riguardare l’esplorazione della casa: il poter salire sui mobili, librerie, armadi; il potersi infilare in scatoloni vuoti impilati uno sull’altro e in
comunicazione fra loro; nascondere del cibo sotto delle scatoline che il gatto è in grado di rovesciare in modo da scovare “la preda”.
Marta e Tommaso hanno creato in questo modo in casa sia un “Luna Park” sia una “Caccia al tesoro” per Pallina, rendendo meno noiosa la sua vita durante le ore che rimane
da sola, mentre i suoi proprietari sono a scuola e al lavoro!
Il cibo e l’acqua
Alla domanda dei miei figli di quante volte al giorno Pallina dovesse mangiare, ho risposto: “Sempre!”.
Un gatto, libero in natura, mangia anche 15 o 20 volte al giorno, consumando, ovviamente, dei piccoli pasti. Per un gatto quindi è totalmente innaturale mangiare due o tre volte al giorno. Questa è un abitudine da cane o da umano, che al contrario può causare un notevole stress ad un felino fino al punto da renderlo bulimico (mangiare in modo ossessivo) oppure in alcuni casi aggressivo.
Ecco perché la pappa deve essere sempre lasciata a disposizione, e per far sì che non si deteriori, il cibo da privilegiare è quello industriale secco.
Non bisogna stupirsi se la ciotola si svuota lentamente, in quanto il gatto è molto bravo a gestire la quantità di alimento a lui indispensabile, senza così ingrassare. Non è quindi necessario cambiare continuamente il menu, nella vana speranza che lui spolveri tutta la pappa in una volta.
Al contrario, quando ci troviamo davanti un gatto famelico ci dobbiamo chiedere se il comportamento alimentare è anormale o se siamo di fronte a delle patologie organiche; e fate attenzione, in quanto un gatto affamato è più irritabile e può diventare aggressivo: si sa che a pancia piena si ha meno voglia di litigare!
All’inizio Marta e Tommaso mi chiesero se Pallina bevesse.
La risposta ovviamente era affermativa, ma indubbiamente il gatto assume quantità talmente piccole di acqua (probabilmente a causa delle sue origini desertiche) che la domanda è comprensibile.
L’acqua fresca deve in ogni caso essere sempre lasciata a disposizione se non vogliamo incorrere in seri guai fisici, anche se ci sembrerà un inutile spreco di tempo (specialmente quando vedremo il nostro gatto preferire l’acqua dei sottovasi o le gocce che scendono dal rubinetto).
Premio e punizione
Un’altra cosa che ho insegnato ai miei figli è che il significato di punizione a posteriori, cioè la punizione che viene inferta dopo che è avvenuto un fatto indesiderato, non ha alcun
significato in natura.
Le punizioni messe in atto dalla mamma gatta sono dei brevissimi colpetti dati con i polpastrelli della zampa anteriore sul naso del gattino oppure delle leggere graffiate date coi posteriori sulla pancia mentre con gli anteriori il gattino vienetenuto fermo (capite ora perché i gatti non amano le coccole sulla pancia, oppure perché non sopportano essere spazzolati
sull’addome?).
Ma attenzione, queste punizioni sono messe in atto esclusivamente per interrompere un azione che il gattino sta facendo in quel momento!
Per il nostro gatto essere preso, magari mentre dorme o gioca, e portato davanti a qualche guaio che ha combinato anche solo due minuti prima e poi punito, oltretutto fisicamente, non è solo senza senso e quindi inaccettabile, ma tale da fargli dubitare della vostra sanità di mente. Risultato piuttosto deleterio per un educatore, non trovate?
Ricordiamoci sempre che l’unica punizione accettabile è quella che interrompe l’azione che il gatto sta effettuando e per fare ciò basta alzare la voce dicendo un “No!” secco o battere le mani.
Se vogliamo che impari dei comportamenti corretti, è più utile premiare il nostro amico felino, otterremo molto di più senzarovinare la nostra relazione umano-gatto.