Non
è il cervo che attraversa la strada, ma la strada che attraversa il
bosco.
Qualche
mese fa trovai un’immagine simile a questa con la frase “Non è
il cervo che attraversa la strada, ma la strada che attraversa il
bosco”, e la riporto qui, oggi, perché trovo che sia estremamente
indicativa di come spesso ci soffermiamo solo sul nostro punto di
vista, senza concederci la possibilità di vedere le situazioni da
un’altra prospettiva.
Per
abitudine, per insegnamenti, per “comodità”, spesso tendiamo ad
avere una visione ego-centrica della vita e del mondo che ci
circonda, dimenticandoci di tutto il resto.
Questa modalità ci può portare ad avere delle relazioni fondate su giochi di potere anziché porci in una posizione di ascolto e accoglienza dell’altro.
Questa modalità ci può portare ad avere delle relazioni fondate su giochi di potere anziché porci in una posizione di ascolto e accoglienza dell’altro.
Se
tutti partissimo dall’assunto che “la mia verità è l’unica e
assoluta” il confronto sarebbe praticamente impossibile.
Spostare
il nostro punto di vista egoico ed ego-riferito presuppone il fare
emergere quella che io ritengo una delle più grandi risorse che
l’essere umano può andare a recuperare: l’umiltà.
Questa enorme risorsa, spesso è considerata nell’accezione negativa di cui la nostra società (quella della forza, del potere, dell’apparenza, dalla grandezza) l’ha vestita.
Ma proviamo ad uscire un attimo da tutto questo e ampliamo l’orizzonte che osserviamo: l’umiltà, fondamentale per mettersi in discussione, presuppone immancabilmente una grande quantità di coraggio (dal latino coratĭcum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cŏr, cŏrdis ’cuore’ e dal verbo habere ’avere’: avere cuore).
Questa enorme risorsa, spesso è considerata nell’accezione negativa di cui la nostra società (quella della forza, del potere, dell’apparenza, dalla grandezza) l’ha vestita.
Ma proviamo ad uscire un attimo da tutto questo e ampliamo l’orizzonte che osserviamo: l’umiltà, fondamentale per mettersi in discussione, presuppone immancabilmente una grande quantità di coraggio (dal latino coratĭcum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cŏr, cŏrdis ’cuore’ e dal verbo habere ’avere’: avere cuore).
Ci
vuole cuore per verso noi stessi e verso ciò che è fuori da noi
per poter sperimentare quella che io chiamo “la cultura del
dubbio”.
Mettere
in discussione, mettere un punto interrogativo su ciò che
facciamo/diciamo/pensiamo non significa perdere la nostra identità
o il nostro valore, significa piuttosto essere capaci di stare
nell’ascolto, nell’accoglienza ed avere l’opportunità di
ampliare la nostra consapevolezza.
Recuperare
un punto di vista eco-centrico, sostituendo quello ego-centrico, ci
permette di riconnetterci alla nostra condizione di essere parte
integrante di un tutto molto più vasto di noi, ma nel quale abbiamo
un grande ruolo, esattamente come tutte le altre creature viventi.
Incontrare
l’altro significa fare “un passo verso”, lasciando indietro, o
meglio, trasformando quelle parti disfunzionali per noi che ci
impediscono di entrare in una relazione di empatia, di rispetto e di
amore.
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